Gli spettacoli pirotecnici che hanno animato le recenti serate nei rioni della periferia orientale di Napoli per annunciare delle scarcerazioni eccellenti, potrebbero fungere da preludio di un nuovo scenario camorristico, improntato su un disegno già in auge in un passato recente.
Correva l’anno 2018 quando un blitz della Polizia di Stato interruppe un summit in una palazzina di piazza Crocelle, quindi tra corso Sirena e via Mastellone, nel quartiere Barra. Una riunione che maturò all’indomani del blitz che pochi giorni prima aveva decapitato il clan De Micco. Un evento inaspettato, ma propizio che favorì l’ascesa del cartello camorristico costituito dalle famiglie d’onore dell’area orientale di Napoli, così come provò l’irruzione dei poliziotti che identificarono i presenti: Gennaro Aprea detto “‘o nonno”, Michele Minichini, Carmine Aurino detto “il cinese” e Giuseppe De Luca Bossa, il fratello di Antonio De Luca Bossa, fondatore dell’omonimo clan, condannato all’ergastolo in via definitiva e detenuto al 41 bis.
Negli anni di magra che segnarono l’era post-Sarno, Giuseppe De Luca Bossa abbandonò Ponticelli per trasferirsi nel casertano, ma quando il clan fondato da suo fratello iniziò a rialzare la testa, dopo decenni trascorsi alla mercè dei De Micco, l’unico uomo di casa De Luca Bossa a piede libero tornò a Ponticelli per ricoprire il ruolo di boss reggente del clan. Seppure, fino a quel momento, “il lavoro sporco” era toccato a Michele Minichini, figliastro di Anna De Luca Bossa, nell’ossequioso rispetto delle gerarchie dettate dal codice d’onore ella camorra, non poteva essere lui a ricoprire le impegnative vesti del leader. Fu lo stesso Minichini ad invocare il ritorno di Giuseppe De Luca Bossa a Ponticelli, proprio perchè con il primogenito di Tonino ‘o sicco detenuto in carcere, spettava al fratello del fondatore del clan, nelle cui vene scorreva il sangue dei De Luca Bossa, sedere al tavolo con gli alleati per rappresentare la famiglia.
Un’alleanza breve, ma intensa, quella intercorsa tra i Minichini-De Luca Bossa di Ponticelli, gli Aprea di Barra e i Rinaldi di San Giovanni a Teduccio, dove a fungere da collante era un’unione d’intenti ben precisa. Motivo per il quale, appare un’ipotesi tutt’altro che remota quella che potrebbe indurre gli stessi protagonisti di quell’alleanza a ritrovarsi intorno ad un tavolo per tornare a parlare d’affari.
Contestualmente alla scarcerazione di Giuseppe De Luca Bossa, anche due elementi di spicco del clan Rinaldi hanno ritrovato la libertà: Gennaro e Giuseppe Rinaldi, rispettivamente fratello e cugino del boss Ciro Rinaldi, fondatore dell’omonimo clan. Un evento destinato a conferire nuova linfa alla cosca del Rione Villa di San Giovanni a Teduccio.
A supporto di questa ipotesi concorre anche un altro dettaglio che viene fornito dai testimoni oculari delle “scese” che Christian Marfella – fratellastro di Tonino ‘o sicco scarcerato a fine giugno – ha portato a compimento tra le strade del quartiere, fino al giorno in cui non è miracolosamente sopravvissuto ad un agguato nel Rione De Gasperi. Ad accompagnare il figlio di Teresa De Luca Bossa e del boss di Pianura Giuseppe Marfella nelle sue scorribande a bordo di una moto potente, altri centauri tra i quali sarebbero stati riconosciuti personaggi legati alla malavita barrese. Un dettaglio che proverebbe che il clan del Lotto O di Ponticelli potrebbe beneficiando del supporto e dell’appoggio di questi ultimi, proprio come avvenne nell’ambito della guerra contro i De Micco che scaturì all’indomani del blitz che fece vacillare per la prima volta l’impero dei “Bodo”.