Dopo aver scontato la condanna per l’omicidio di Meredith Kercher, l’ivoriano di 36 anni Rudy Guede è finito nuovamente nel mirino della magistratura: accusato di violenza e lesioni da un’ex compagna 23enne. La procura ha disposto per lui l’obbligo del braccialetto elettronico con il divieto di avvicinarsi a più di 500 metri dalla ragazza.
Secondo quanto riferito dall’Adnkronos, infatti, nei confronti del 36enne è stata emessa una misura cautelare per via delle violenze perpetrate ai danni di quella che oramai è la sua ex compagna, una ragazza di 23 anni.
Unico condannato per l’efferato omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, avvenuto nella villetta di via della Pergola a Perugia l’1 novembre del 2007, Rudy Guede deve rispondere dei reati di maltrattamenti, violenza e lesioni personali compiuti nei confronti della ex compagna 23enne.
Tornato in libertà dopo 13 anni di reclusione, tra regime di semilibertà e una collaborazione fornita nel Centro studi criminologici di Viterbo, il 36enne ivoriano ha ricevuto la comunicazione del provvedimento preso nei suoi confronti nel corso della mattinata di mercoledì 6 dicembre. Processato con il rito abbreviato e condannato a 16 anni di reclusione per omicidio in concorso con ignoti, gran parte dei quali scontati nel carcere Mammagialla di Viterbo.
Guede è stato colpito dalla misura cautelare del divieto di avvicinamento a meno di 500 metri dalla sua ex compagna, e dovrà indossare un braccialetto elettronico. Il provvedimento, eseguito dagli uomini della Squadra mobile, è stato emesso dal procuratore della Repubblica di Viterbo Paolo Auriemma.
Secondo l’impianto accusatorio l’uomo avrebbe preso di mia la sua ex compagna arrivando ad aggredirla anche fisicamente. Elementi confermati nel corso dell’indagine che i pm, coordinati dal procuratore Paolo Auriemma, hanno affidato agli uomini della Squadra Mobile. Un quadro allarmante che aveva spinto i titolari del procedimento a sollecitare per Guede gli arresti domiciliari. Una richiesta non accolta, però, dal giudice per le indagini preliminari che ha ritenuto sufficiente il divieto di avvicinamento di almeno 500 metri dalla vittima e l’applicazione del dispositivo che consente il controllo elettronico in remoto dei soggetti raggiunti da una misura cautelare.
Dopo avere scontato la pena è rimasto a vivere nel capoluogo della Tuscia dove aveva trovato lavoro come cameriere in un ristorante e parallelamente collaborava con un centro studi. Tra coloro che sono stati coinvolti nella vicenda dell’omicidio della studentessa inglese – la sua coinquilina americana Amanda Knox e l’allora fidanzato di quest’ultima, Raffaele Sollecito – l’ivoriano è stato l’unico che ha sempre ammesso la sua presenza nella casa di via della Pergola mentre Meredith veniva ferita mortalmente alla gola. Negando però di avere partecipato al delitto e, anzi, sostenendo di avere cercato di soccorrerla. Una versione che però non ha mai convinto la famiglia Kercher.
Su quanto avvenuto nel 2007 Guede è tornato a parlare nei mesi scorsi. “Avrei voluto fare di più, andare per strada, urlare e attirare l’attenzione su di me, magari chiamare un’ambulanza – ha dichiarato -. Purtroppo avevo 20 anni e la mia età ha fatto sì che non mi fermassi un attimo e prendesse il sopravvento la paura che mi ha spinto a scappare via”. Il caso giudiziario della Kercher non è comunque a ancora chiuso. Il 13 ottobre scorso la quinta sezione penale della Cassazione ha infatti revocato e annullato le sentenze con cui la Knox è stata condannata per calunnia, per avere coinvolto nel delitto compiuto a Perugia il titolare del pub dove lavorava, Patrick Lumumba, poi riconosciuto estraneo e quindi prosciolto. Un punto fermo di tutti i processi, cinque, celebrati finora. L’introduzione dell’articolo 628 bis del codice di procedura penale ha però dato alla ragazza americana la possibilità di chiedere che vengano eliminati “gli effetti pregiudizievoli” derivanti da una violazione che sia stata accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, quella di difesa in questo caso. La Corte ha quindi accolto la richiesta dei difensori dell’americana, disponendo il “rinvio per un nuovo esame sul punto” alla Corte d’assise d’appello di Firenze.