“Faccio parte del clan De Micco e ho saputo che sabato mattina c’era stato un summit tra i De Micco, i De Martino, i Mazzarella e i De Luca Bossa nel corso del quale hanno deciso di uccidermi perché ritenevano che io fossi quello più debole, nel senso che in caso di arresto avrei potuto collaborare con la giustizia. Avevano deciso di uccidermi fingendo che ci fòsse una rissa nella discoteca Club Partenope, all‘interno dell‘ippodromo.
Preciso che il fatto che volessero uccidermi perché temevano che io in caso di arresto avrei potuto collaborare con la giustizia è una mia supposizione.
In giro nel quartiere si diceva che Carmine D’Onofrio lo avevo ucciso io e per gli altri clan ero io quello più pericoloso dei De Micco e dunque la persona da eliminare. Dunque, poiché ero l’unico a non essere stato arrestato per l’omicidio di Carmine D‘Onofrio, oltre a D‘Apice Ciro Ivan, pensavano che in caso di arresto avrei collaborato.”
La sintetizza così, Antonio Pipolo, 27enne collaboratore di giustizia, ex affiliato al clan De Micco, la feroce sequenza di eventi che lo ha portato a passare dalla parte dello Stato, dopo aver compiuto due omicidi: quello di Carlo Esposito, 29enne affiliato al suo stesso clan che gli sarebbe stato indicato come il killer al quale l’organizzazione aveva commissionato l’esecuzione materiale della sua condanna a morte, e Antimo Imperatore, 53enne factotum del Rione Fiat, la zona di Ponticelli in cui Esposito era in procinto di trasferirsi. Pipolo fece irruzione proprio nel basso in cui Esposito sarebbe andato a vivere con la sua compagna e che stava ristrutturando con l’aiuto di Imperatore.
Secondo la ricostruzione fornita da Pipolo alla magistratura, i De Micco avrebbero supportato i rumors di popolo che lo indicavano con insistenza come l’esecutore materiale dell’omicidio di Carmine D’Onofrio, il 23enne figlio naturale del boss Giuseppe De Luca Bossa, assassinato ad ottobre del 2021, per siglare un patto di non belligeranza proprio con il clan del Lotto O. In sostanza, nell’arco dell’estate 2022, quando la faida tra i due clan attivi a Ponticelli si stava riaccendendo, i De Micco avrebbero tentato di stroncare sul nascere quel pericoloso focolaio, offrendo la testa di Pipolo ai De Luca Bossa che rivendicavano vendetta per l’omicidio del giovane D’Onofrio, impegnandosi a compiere un atto di epurazione interna necessario soprattutto per preservare gli interessi dell’organizzazione.
I De Micco avrebbero così bramato di disfarsi di quell’affiliato sempre più inaffidabile ai loro occhi, riuscendo al contempo a far passare quell’omicidio come un sacrificio necessario per sedare l’agognata vendetta dei rivali e ristabilire l’equilibrio necessario per privilegiare gli affari illeciti, scongiurando il pericolo che parenti diretti dei De Micco o figure di primo ordine del clan potessero finire nel mirino dei killer del clan rivale. Uno scenario sfiorato poche settimane prima del duplice omicidio di Esposito e Imperatore, quando un commando composto da quattro giovanissimi capeggiati da Emmanuel De Luca Bossa, fece irruzione a viale Margherita per esplodere una raffica di colpi di mitraglietta appena giunti nei pressi del “Superbar”, luogo di ritrovo delle giovani leve del clan De Micco-De Martino. Un’incursione armata che solo per una fortuita casualità non sortì l’effetto sperato, ma che concretamente riaprì le ostilità tra i due clan eternamente in guerra.
Il piano ordito per uccidere Pipolo sarebbe stato mandato in frantumi da quella “soffiata” che ha annunciato anzitempo le intenzioni del clan alla vittima sacrificale designata. Motivo per il quale Pipolo, avrebbe fatto irruzione nel basso di Esposito con l’intenzione di ucciderlo e trovando Imperatore sull’uscio della porta, avrebbe sparato prima lui e poi si sarebbe introdotto nell’appartamento per eliminare il suo unico e reale obiettivo. Poche ore dopo si è poi consegnato alla magistratura per avviare il percorso di collaborazione.
Le dichiarazioni rese da Pipolo e soprattutto il concitato epilogo della sua storia camorristica, legittimano l’apprensione tra i familiari degli affiliati al clan De Micco che temono che i loro giovani congiunti possano essere gettati in pasto al medesimo piano criminale che prevede l’eliminazione di quei gregari che hanno compiuto delitti eccellenti ed azioni ugualmente eclatanti che possono concretamente tradursi in sonore condanne. L’ipotesi che quei ragazzi possano seguire le orme di Pipolo, al cospetto della consapevolezza di dover trascorrere gran parte della propria esistenza dietro le sbarre, rappresenta quel genere di pericolo che un clan come quello dei “Bodo” deve necessariamente scongiurare.