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“I giorni della vergogna”

Luciana Esposito di Luciana Esposito
30 Agosto, 2014
in In evidenza, News
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“I giorni della vergogna”
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imagesASCXLVXIEsistono delle realtà tristi, terribilmente tristi nella loro cruda e scarna ferocia che nessuno vuole o sa lasciar emergere.

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La storia di Don Fausto è senza dubbio l’istantanea che sintetizza e personifica al meglio la terribile, disperata ed inaccettabile realtà che la storia contemporanea, gremita di tasse e privazioni, imprime nella vita dei più deboli.

Don Fausto è un uomo giunto al tramonto dei suoi anni che, dopo aver trascorso una vita tra stenti, rinunce e sacrifici, si appresta a percorrere gli ultimi metri lungo il tramonto della sua esistenza.

Ex operaio in pensione, adesso vive in una delle periferie più dimenticate di Napoli, cercando di far fruttare al meglio i 450 euro al mese che costituiscono la sua pensione, 445 per la precisione, perché è giusto che, la drammaticità insita in taluni dati, non venga mai arrotondata per eccesso.

Don Fausto, quella manciata di soldi, ha imparato a farseli bastare gestendoli, esattamente come un mendicante disperso nel deserto farebbe con la sua unica e contenuta borraccia d’acqua.

Nessuno sa se ha mai avuto una famiglia e se ci sono dei figli che lo hanno abbandonato o dai quali si è allontanato, pur di sottrarsi all’imbarazzo di vivere ai loro occhi quella “vergogna”.

Già, perché nelle vite precarie imbevute d’umiltà, la povertà viene percepita come la più grande vergogna che può sporcare mani e quotidianità di un uomo.

Mani che hanno lavorato per tutta la vita e che si ritrovano costrette a stringere tra i pugni copiose ed amare manciate di ingiusta privazione.

Mani incapaci di rubare, perché abituate a guadagnare lavorando, onestamente ed umilmente e ora che sono stanche e corrugate, si vedono impossibilitate ad afferrare ancora sacrifici, anche se questo significa ritrovarsi a stringere tra i pugni fame e desolazione.

Mani incapaci di protendersi verso una borsa di Gucci o un distinto abito incravattato per chiedere l’elemosina, perché anche quello è un atto che può essere interpretato solo da chi dispone di “un animo procreato per compiacere” e geneticamente abilitato ad indurre pietà.

Mani che si vedono private non solo del quantitativo di soldi necessario per condurre una vita quantomeno “normale”, ma soprattutto spogliate del bene più imprescindibile e prezioso, quello del quale mai, in nessun caso e per nessuna ragione, un uomo giusto dovrebbe essere denudato: la dignità.

I vicini di casa, le persone che lo conoscono da anni e che, negli anni, hanno imparato a conoscere la sua storia cercano, entro i limiti delle loro possibilità, di dargli una mano.

Don Fausto accetta tutto: abiti usati, coperte, un buon pasto caldo, medicine, tutto, proprio tutto, tranne i soldi.

Chi lo conosce sa che è prassi vedere Don Fausto in giro fino al 15, quando è particolarmente fortunato, fino al 20 di ogni mese: quando i 445 euro di cui dispone hanno cessato d’esistere, Don Fausto si barrica in casa fino a quando non giunge il giorno in cui può recarsi alla posta a ritirare la pensione.

Non esce di casa, ma preferisce rimanere da solo in compagnia della sua disperazione, pur di non condividere con il mondo la vergogna d’esser povero, di non avere niente.

Niente da spendere, niente in cui sperare.

Niente tv, nessun giornale, nessun amico con cui giocare a carte o ammazzare il tempo chiacchierando, la povertà è la compagna di vita di Don Fausto, soprattutto durante i “giorni della vergogna”.

Quelli che la vita crudelmente gli impone e che, dignitosamente ed inverosimilmente, sceglie di trascorrere così.

Come detto, chi conosce il dramma che strazia e tortura quegli ultimi scampoli di vita terrena che affannosamente gli restano da respirare, sovente, soprattutto durante i “giorni della vergogna”, bussa alla porta di Don Fausto con un piatto caldo tra le mani, ma, d’estate, complici le partenze per le tanto attese vacanze, “la lotta per la sopravvivenza” si complica.

Alcuni extracomunitari hanno preso tanto a cuore la sua situazione e tutti i giorni, al termine della “battaglia lavorativa”, si recano da lui per dividere e condividere quel brandello di misera sussistenza arrancato durante il giorno.

Si, proprio quegli extracomunitari che con un sorriso e una battuta impastata in un napoletano improvvisato, chiedono l’elemosina a ridosso delle attività commerciali o vendono fazzoletti e prodotti di vario genere, quelli che non hanno niente e che, per questo, probabilmente, riescono più facilmente a comprendere il disagio umano e sociale di Don Fausto, perché in quel niente si rispecchiano, perché quel niente li accomuna, quel niente che, però, sono generosamente disposti a condividere quello stesso niente, arricchendolo di un bene dal valore inestimabile: la solidarietà, seppur incapace di sfamare, ma diversamente abile a nutrire l’anima.

Spesso accade che le persone che incontrano per strada gli regalino prodotti alimentari di vario genere: un pacco di biscotti, un pezzo di pane, caramelle, prodotti in scatola.

Fa specie pensare che quella donazione primordiale azioni una “macchina di solidarietà“ che sfocia nella vita di “un nonno qualunque”.

 

 

Tags: Don Faustoextracomunitarinapolipensionatiperiferia di napolipovertàprecarietà
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