Quest’oggi, un corteo che ha raggruppato oltre cinquantamila persone, in gran parte lavoratori facenti parte di CGL e UIL (come si saprà la CISL, il terzo sindacato nazionale, non ha partecipato allo sciopero generale) ha sfilato da P.zza Mancini fino al palco adibito a P.zza Matteotti, in un sorprendente mix di colori: dalle bandiere rosse accompagnate dagli immancabili furgoncini con tanto di casse della CGL a quelle azzurre della UIL, venute in grande quantità dalle varie città campane; tutte hanno sventolato insistentemente per lanciare un messaggio chiaro e tondo all’attuale governo: “Così non va!”
La politica economica renziana, tradottasi nella tanto controversa legge di stabilità ed avente tra i diversi protagonisti (in negativo, almeno mediaticamente) il famoso “Job Act” non può rappresentarli e soprattutto non può essere riconosciuta come la via per la creazione (ed il mantenimento) di posti di lavoro stabili.
Diversi gli spunti durante il comizio, sia contributi dei facenti parte alle segretarie regionali dei rispettivi sindacati, sia testimonianze dirette dei lavoratori: si è sottolineata l’importanza del ricordo di quello stesso 12 dicembre lì, a Piazza Fontana, della solidarietà alle operaie sarde e alla loro lotta eroica per ricevere 7 mensilità arretrate, del vergognoso “magna magna” sugli immigrati, “gente ca già nun tene niente“; e ancora, dei disagi degli operai forestali, dei tagli alla sanità pubblica campana, dell’illusione dei contratti a tutela crescente.
Su quest’ultimi andrebbe approfondito il discorso politico ed economico, specialmente da parte delle forze d’opposizione: si tratta di una misura che prevede l’assegnazione di un contratto a tempo indeterminato, quello tanto agognato dai lavoratori, precari o disoccupati che siano, in seguito al conseguimento di tre anni di occupazione del posto in questione. Un apparente ancora di salvezza che rischia però di lasciare, oltre al danno, la beffa: con gli attuali ridimensionamenti dei diritti dei lavoratori (la Riforma Fornero, la messa in discussione dell’Articolo 18 ecc.) la “flessibilità” degli impieghi può raggiungere picchi insostenibili, permettendo così alle aziende di licenziare prima ancora che il contratto a tutela crescente possa concretizzarsi.
Insomma, l’equazione di precarizzazione, occupazione, ripresa e crescita economica convince poco, men che meno i lavoratori.
Il corteo è apparso fortemente unitario e compatto, salvo poche eccezioni, come quella di un folto gruppo prevalentemente composto da giovani che ha sfilato in fondo, separatamente, per la gran parte dell’evento.
Mai come oggi, in un momento di deriva politica oltre che economica, i cittadini (ma forse sarebbe meglio usare un termine ancora più “caldo”, le persone) devono sostenersi l’un l’altro per far fronte ad un momento drammatico, non tanto per sé: come hanno ripetuto i tanti padri e le tante madri “Non facciamolo per noi, facciamolo per i nostri figli”.