Spesso fatichiamo a comprendere la vita, le sue motivazioni. La nostra irrimediabile piccolezza di fronte a questo profondo e complesso mistero. L’esistenza ci spinge in strade così tortuose da impedire alla luce di fare capolino. Perdersi, sempre. La difficoltà di prendere in mano il nostro destino, la volontà delle proprie espressioni, la forza di essere quello che si è, senza intermediari.
Quella che raccontiamo oggi è una storia assai triste, non solo perché è un assunto di morte, ma perché riflette nitidamente il fallimento sull’accettazione che accomuna l’umanità intera. Josh Alocorn ha 17 anni. Ci si aspetta da lui che mangi la vita come solo i ragazzi di quest’età sanno fare. Josh, però, è un uomo che si sente donna. Ha 14 anni quando capisce cosa vuol dire transgender ed è in quel momento che comincia a chiedere aiuto, non per cambiare, attenzione, ma per definirsi. D’altronde è ancora un bambino che tende la mano alla madre, ma lei fa un passo indietro. Una storia di indottrinazioni sul giusto e sbagliato, una morale che ha tanto del fanatismo e così poco della vera religione fanno sì che alla richiesta di un traguardo di pace faccia seguito un vomito di inadeguatezza. Pensare di essere sbagliati per Dio, se tu in quel Dio ci credi, fa pensare di essere sbagliati per l’esistenza stessa.
Sentirsi un aborto divino senza la capacità di essere diverso da questo fa male.
Comincia un calvario fatto di solitudine e psicologi faziosi che continuano a dirgli quanto è in mala fede, quanto è egoista, quanto è sbagliato.
“Mi hanno obbligata a lasciare la scuola, mi hanno tolto il computer e il telefono, mi hanno proibito di comunicare attraverso i social, mi hanno isolata completamente dagli amici. È stato il periodo più depresso della mia vita, è stato un miracolo che non mi sia suicidata. Sono rimasta completamente sola per 5 mesi. Senza amici, senza aiuto, senza amore. Soltanto la delusione dei miei genitori e la crudeltà della solitudine.” Scrive.
Non si può vessare l’anima per sempre, questo lo sappiamo.
Josh muore il 28 dicembre, investito sulla strada Interstat 71 in Ohio, Stati Uniti. Si è buttato sotto un camion e per far sì che sia chiaro il messaggio lascia una lettera sul suo Tumblr personale, programmata per autopubblicarsi ad una data ora del giorno. Quello che colpisce è la lucidità di questo ragazzino che si sente incapace di vivere, ma ha ancora la forza per precisare che il suo gesto non è una folle goccia nel mare. Se ancora una, una sola persona con una storia comune a questa deciderà in coscienza di togliersi la vita, sarà perché è impossibilitato ad essere, con sacrosanta prepotenza, quello che è davvero. Oggi parliamo di transgender, ma è importante capire che questo destino è più comune di quel che appare.
Ogni vita che schematicamente non è quello che ci si aspetta in una società ancora così fintamente e globalmente perbenista, ogni vita che impone la sua unicità, ogni vita che abbiamo perso perché non sapeva essere altro che quello per cui era nata.