Forcella non ci sta. Non può e non sa soccombere. Non vuole e non deve piegarsi alla criminosa e feroce velleità della camorra.
Ancora una volta, quella Napoli che prende le distanze dalla camorra ed è stanca di subirne abusi e soprusi, ha risposto positivamente all’appello diramato da “Un popolo in cammino” e stamani alle 10,30 si è ritrovata in piazza Calenda, quella stessa piazza in cui il giorno di capodanno si è consumato il brutale omicidio di Maikol.
Napoli si stringe intorno alla figura del 27enne di Forcella, emblema del viver civile, dell’onestà e del “tirare a campare” nel segno del senso della legalità, senza impugnare le armi o imbrigliarsi in azioni o vicende criminose e barbaramente ucciso il giorno di capodanno per un “gioco” frutto della follia criminale dei nostri giorni. “Sparare in cielo” è il modo più edificante e solenne di festeggiare le grandi occasioni per gli uomini del sistema. E che quei proiettili possano mietere delle vittime innocenti poco – o meglio – nulla importa. O cambia. Maikol era uno dei tanti giovani napoletani che, pur di non cadere nelle tentazioni del malaffare e dei soldi facili, si “arraggiava“ come ambulante vendendo calzini. Eppure, come ormai puntualmente accade, le prime ricostruzioni consequenziali all’omicidio lo descrivevano come l’ennesimo affiliato di camorra.
Del resto, anche i pregiudizi legati alle morti che si consumano nelle zone difficili di questa città sono un triste rituale che puntualmente si ripete.
Intanto, sui social impazzano le dediche rivolte a Maikol, quel ragazzone robusto e dal cuore d’oro che scorazzava tra i vicoli della città per vendere calzini.
27 anni, marito e padre di due figli, ha lasciato il segno in tutte le vite che ha incrociato e i messaggi che raccontano la persona che è stata lo comprovano in maniera tanto commovente quanto inconfutabile:
“Ma davvero ti chiami Michael? – Certo, però scritto Maikol! Ragazzone alto e grosso, faccia da orsacchiotto partenopeo. Quintessenza dell’ambulante napoletano, quello vero, cioè quello con il borsone pieno di calze e calzini. Mai arrogante, mai impertinente, mai invadente: un maestro dell’approccio al cliente. Trovavi un nomignolo, un soprannome o una somiglianza per tutti. La prima volta, quando stavo a Napoli da poco, mi guardasti dritto negli occhi, col volto sorridente mi dissi: – Ué Ibrahimovic, me la dai una mano?. O sacc ca e tien i caz’ttin e nun t serv’n, ma con qualche euro dac a mangià quaccos ai figl mij.- Mi misi a ridere e ne comprai qualcuno. Da allora, ogni volta che arrivavo dalla stazione mi fermavo qualche minuto a chiacchierare con te. Mi dicevi: – Nun so fatt p’ fa o’ delinquent, nun m piac’. Preferisc a sta miezz a vij a venn’ i caz’ttin. Una delle ultime volte, il giorno in cui uccisero Gheddafi: – Haj vist, Ibra? C’hann schkiattat a’ cap a Gheddafi. Non ti vedevo da un po’, ma dubito che ti fossi messo in brutti giri. I napoletani buoni, soprattutto quelli giovani che cercano si star fuori da certi giri, li riconosci dall’espressione e dal portamento, senza quella faccia di cazzo da aspirante o sedicente malavitoso cresciuto col mito della camorra. Non eri fatto di quella pasta. Ora non ci sei più, ma quando passerò su quel pezzo di marciapiede dove di solito ti fermavi, sosterò qualche minuto, scambiando qualche parola facendo finta che tu ci sia. Riposa in pace, Maikol.”
“A noi non pare normale che un ragazzo deve essere ucciso a 27 anni, a Capodanno, lasciando una moglie e due figli piccoli, perché una banda di camorristi decide di festeggiare sparando per strada… perché non ci pare normale che in una città europea del 2015, con i militari per strada e una concentrazione di forze dell’ordine pazzesca, non si riesca a sapere chi è stato… non ci pare normale che in un quartiere del centro di Napoli si viva nella miseria, che si abbia paura…, che un’infima minoranza di persone debba ricattare migliaia di persone… chiediamo verità e giustizia per Maikol e per tutte le vittime innocenti delle camorre. Vogliamo lavoro, scuola e cultura, servizi sociali, quartieri abitabili e sicuri. Lo Stato e la Regione hanno le risorse: invece di mangiarsele o regalarle ai ricchi, le dessero a chi ne ha bisogno, ci dessero un’alternativa!”
“Ho paura ma veramente tanta paura. Non si può crescere un figlio è da un momento a l’altro può essere ucciso, non si può pensare che una moglie aspetta il proprio marito dopo una giornata di lavoro stressante e massacrante perché quello è per chi lavora come venditori ambulanti, mettendo tutto l’impegno per portare a casa la sera piccole soddisfazioni. Non si può capire e concepire una morte così assurda e non solo anche il dopo essere giudicato un camorrista, spero che esista veramente un Dio perché dovrete pagare per quello che avete fatto a questo bravissimo ragazzo, dovrete portavi sulla coscienza il dolore dei figli che dovranno crescere senza un padre”
“Perché i morti di camorra hanno sempre di più un volto da ragazzi. Sono figli, fratelli di tutti noi. Al posto sbagliato, nel momento sbagliato.”