Enzo Gragnaniello stravince la sfida indiretta con il Festival di Sanremo regalando una serata di musica ed arte pura e sopraffina al gremito pubblico accorso per ascoltare uno degli ultimi cantori di quella Napoli musicale laureatasi alla “Old School“. La voce e la chitarra di Gragnaniello, straordinariamente supportate da una band musicale che con pregevole autorevolezza tiene il palco strabiliando il pubblico, regalano al teatro Augusteo la classica serata da tramandare ai posteri. È sold out per l’unica tappa napoletana di “Miracolosamente”, il tour di uno dei cantori di Napoli più struggenti e passionali.
Gragnaniello non delude le aspettative di chi ha spento la tv, preferendo di concedersi il suo corpulento live-show – duro più di tre ore – a discapito della seconda serata del Festival della canzone italiana.
Struggente, accorato, viscerale, emotivo, le sue canzoni, le sue interpretazioni, sono una finestra spalancata su innumerevoli squarci di vita, di Napoli, di anima, di sentimenti. Contrapposte, contraddittorie, scorrevoli, marcate, fascinose: le emozioni scalfite dalla musica di Gragnaniello sono pennellate di cruda autenticità che tingono con le note della magia l’atmosfera in sala.
Una performance egregiamente arricchita da innumerevoli valori aggiunti: il groove arcigno e passionale di Raiz, le imprevedibili percussioni di Ciccio Merolla, l’esperta maestria di Franco del Prete, la romantica poesia di Nino Buonocore e poi c’è lei, Ornella Vanoni, quella ragazzona slanciata, seduta in prima fila che sulle note di “Indifferentemente” improvvisa una performance ballerina per poi incantare il pubblico quando sale sul palco, prima con la sua ironia e poi con la sua voce senza tempo, magica, fulgida, elegante.
Le suggestioni regalate dall’interpretazione di “Alberi”, la canzone con la quale nel 1999 Enzo Gragnaniello ed Ornella Vanoni gareggiano proprio al Festival di Sanremo, sono forti e vibranti, capaci di consegnare una percezione del tempo nitida, scevra da quella retorica qualunquista e grossolana ed ulteriormente impreziosita dalla cruda e a tratti rassegnata consapevolezza insita nell’inarrestabilità dell’attimo.
Quel tempo che va a ritroso e si proietta, al contempo, tra le pieghe dell’eternità quando la voce di Gragnaniello, malinconicamente orfana di quella di Mia Martini e Roberto Murolo, intona le note di “Cu ‘mme” in uno struggente e nostalgico assolo a base di voce e commozione. Una commozione che si addensa ed assume dei tratti ancor più intensi, quando Gragnaniello interpreta “Il viaggio di un amico”: il brano che Enzo ha dedicato all’amico Pino Daniele. Solo musica, niente parole, perché, come lo stesso artista asserisce: “Per comunicare con l’invisibile non servono le parole, ma le emozioni”. Quelle emozioni che hanno rappresentato il più sonoro leitmotiv della serata capaci di vestire e disvestire le più camaleontiche sfumature. Dall’euforia all’intima ed introspettiva riflessione, dalla malinconia alla speranza, dalla rabbia alla passione, dal romanticismo alla magia, senza mai trascendere nella banalità.
Una performance confezionata con arte e meticolosa maestria da quello che si è ironicamente autodefinito “l’ultimo Mammut” di quella Napoli musicale che ha scritto autorevoli pagine di storia, consegnando alcuni dei brani più preziosi del patrimonio partenopeo, ma che appare assai più appropriato definire un artista dalla rara, rude e marcata sensibilità.