Meno di 24 ore fa, postava su facebook la foto di una farfalla che aveva effettuato un pit-stop nei suoi paraggi, intravedendo in quel fruito evento un segnale premonitore: “buone notizie in arrivo”.
Un messaggio, che alla luce dell’agguato brutale consumatosi nelle ore successive alla pubblicazione di quel post, assume tutt’altro e ben più triste significato.
Nell’era del 2.0, facebook assume un ruolo preponderante nella ricostruzione di nomi e storie legate alla criminalità organizzata.
L’agguato mortale di Luca Ciotola detto “Ciociò”, il 34enne ucciso stanotte nella sua abitazione di via Cupa Vicinale Terracina, nel quartiere Fuorigrotta, dove abitava con i genitori, delinea uno scenario più ampio e complesso che proietta l’immaginario ben oltre il “classico” contesto criminale.
Il giovane, con diversi precedenti penali per stupefacenti e rapina, era detenuto ai domiciliari. Stanotte, intorno alle 4.30, due persone hanno bussato al campanello di casa sua. Quando ha aperto, gli hanno esploso contro una decina di pallottole.
Luca è morto sul colpo.
Gli inquirenti tendono ad escludere un collegamento tra l’omicidio di Ciotola e le faide di camorra attualmente in corso, infatti, viene ritenuta più probabile la pista personale, che potrebbe contemplare confezioni relativi al traffico di stupefacenti.
Al vaglio degli investigatori, quindi, le frequentazioni, la vita privata del ragazzo. Quella vita e quelle abitudini setacciate anche dalla stampa, attraverso un oculato screening del profilo social di Luca.
Foto, messaggi, pensieri, canzoni: innumerevoli i punti di contatto riconducibili alla malavita organizzata, all’ideologia camorristica. Dalle canzoni neomelodiche inneggianti alla libertà per i detenuti e alla costernazione della latitanza, alla sistematica condivisione di post riconducibili a pagine nate, ideate e animate dall’esclusivo intento di fomentare consensi ed ammirazione intorno alla camorra e al credo criminale.
Le immagini e le frasi che veicolano messaggi inequivocabili, lo comprovano in maniera chiara: “o’ sistema”, “malavita”, queste le pagine più battute da Luca che era solito condividere quei post, in cui le pistole sono sempre esibite in bella mostra, al pari degli ideali imprescindibili. “Onore”, “fedeltà”, “”rispetto”, “coraggio”.
“Faccia verde senza culor…. O sì infam’ o sì traditor’”: scrive Luca in un post, confermando la rispettosa osservazione di quel credo per il quale “chi impallidisce in viso quando ti parla, non è una persona “fedele” al sistema”.
Questo non vuole necessariamente dire che tutti coloro che si avvalgono di questo registro linguistico siano legate ad un clan, bensì delineano uno scenario ancora più sconcertante: per attirare consensi, per vedersi e sentirsi accettati nei gruppi associativi, reali e virtuali, in cui regna il verbo della camorra, è necessario attenersi anche a quegli schemi dettati da un linguaggio virtuale che converge verso dogmi sempre più definiti.
Perché oggi, se non sai guadagnarti tanti “mi piace” su facebook “non sei nessuno”.
E anche la camorra ha saputo adattarsi a questa corrente di pensiero, riuscendo perfino a trovare il modo più sfrontato ed ingegnoso per accaparrare consensi virtuali capaci di fidelizzare utenti che, in maniera più o meno consapevole, diventano “discepoli” e forse anche affiliati.
Ma come può sfuggire all’occhio vigile di chi lavora a tutela del più consono utilizzo della macchina sociale più cliccata al mondo che la criminalità organizzata si sta pericolosamente servendo di facebook per diffondere il suo verbo?