Chi lo avrebbe mai detto che una pecora potesse rivoluzionare il mondo scientifico? Prima del 1996, anno di nascita di Dolly, erano pochi i centri di ricerca disposti a collezionare esperimenti falliti su topolini e ranocchie da clonare.
Oggi sono passati 20 anni dalla nascita dell’ovino clonato, con quel nome da bambola in onore dell’attrice e cantante country Dolly Parton. Da allora sono stati compiuti grandi passi per lo studio della clonazione, della fecondazione assistita ma non solo. Questa “bambola” ha fatto girare la testa a studiosi e comuni cittadini, ispirato film come “Il sesto giorno” con Arnold Schwarzenegger ma anche aperto questioni di ampio respiro come il trapianto di organi clonati, la dignità di un essere “riprodotto in serie” e la temuta clonazione umana.
La storia di Dolly è intensa nei suoi soli sei anni di vita, tant’è che ci vollero tre madri per darla alla luce, di cui una surrogata: i ricercatori del Roslin Institute, guidati dal embriologo Sir Ian Wilmut –nominato cavaliere nel 2008-, avevano già compiuto 277 esperimenti su animali da fattoria per la clonazione da una cellula adulta, tutti falliti. La seguente ebbe successo e portò al mondo Dolly: a due pecore donatrici, di razza Finn Dorset e Scottish Blackhead, furono asportate rispettivamente una cellula dai glandi mammari e un ovocita. Il nucleo e il DNA della cellula mammaria rimasero intatti, mentre nell’altro furono rimossi per fare da “base” vuota. Quindi seguì un’operazione di fusione delle due cellule tramite una scossa elettrica e il nuovo embrione fu impiantato nel grembo di una terza pecora che fece da madre surrogata, affinché esso crescesse in una gravidanza priva di effetti collaterali.
La nascita di Dolly non fu solo il primo caso di clonazione riuscita da un soggetto adulto, ma dimostrò che era possibile creare animali in serie: in Cina vengono clonati ogni anno 500 maiali con un tasso di successo del 75% per scopi di ricerca medica. Il corredo genetico dei suini d’altronde è simile a quello umano e il caso cinese può preoccupare: siamo vicini alla clonazione umana?
Nell’Unione Europea “ogni intervento che ha lo scopo di creare un essere umano geneticamente identico a un altro essere umano vivo o morto” è vietato dalla Convenzione “per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina sul divieto di clonazione di esseri umani”, approvata in Italia dal 2001.
Le legislazioni variano da paese a paese e la Cina non è l’Europa; è possibile in un futuro non troppo lontano dover affrontare la fobia dell’”umano in serie” e saper riconoscere la dignità di un essere vivente clonato. Un umano clonato sarà uguale a uno “normale”? Un clone nascerà già adulto, come capitò a Dolly, nata già vecchia come la mamma Finn Dorset e morta a soli sei anni per artrite e tumori polmonari? La personalità, i gusti e il carattere possono essere riprodotti su scala, alla stregua degli animali da pascolo?
Casomai la clonazione umana diventi realtà, sarà necessario bloccare tempestivamente i rischi di un’eugenetica di massa ove uomini e donne dal fisico attraente e in perfetta salute, in sintonia con i modelli propinati dalla pubblicità, possano essere favoriti nelle relazioni sociali e nel mondo del lavoro; o peggio, sfruttati come schiavi.
Tra intellettuali e scienziati favorevoli e contrari, chissà cosa direbbe dal Museo Nazionale della Scozia la diretta interessata, la pecorella col nome di una cantante.