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“Le Scianel della camorra prestate a Gomorra”: le donne del clan Bidognetti

Luciana Esposito di Luciana Esposito
20 Maggio, 2017
in In evidenza, News
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“Le Scianel della camorra prestate a Gomorra”: le donne del clan Bidognetti
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my-collage Le donne del clan Bidognetti nutrono un legame viscerale e di profonda devozione nei confronti dei boss detenuti in carcere.

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Le figlie dei boss, a differenza dei loro fratelli, spesso vivono nell’ombra.

Nell’anonimato e in sordina, lavorano con discrezione far fruttare il denaro accumulato dai padri. Katia e Teresa: le figlie di Francesco Bidognetti, uno dei capi del clan dei Casalesi, di recente, sono balzate agli onori della cronaca e hanno permesso ad una new version della camorra in gonnella di emergere in tutta la sua cinica e cruda veridicità.

Bidognetti è un cognome sinonimo di violenza, saccheggio ambientale e connivenze con imprenditoria e politica.

L’esigenza di liquidità per onorare le spese di un clan tutt’altro che sgominato dagli arresti e dagli omicidi, induce gli affiliati ad attivarsi in ogni modo imponendo il pizzo ad ogni attività: dalle piazze di spaccio fino alle prostitute. Il soprannome di Francesco Bidognetti è ‘Cicciotto ‘e mezzanotte‘, deriva al fatto che era lui l’uomo che per conto della camorra, curava il business della prostituzione.

Le donne di casa Bidognetti, dapprima si erano occupate di Adele, la figlia di Mario Fabbrocino, e di Tatiana, la figlia di Umberto Mario Imparato. Antonella, figlia di Umberto Ammaturo e di Pupetta Maresca, è riuscita a rimanere una figura marginale. E poi ci sono gli uomini della nuova generazione della famiglia Bidognetti: Gianluca è il figlio minore, iperattivo e scellerato, rischia continuamente di mettersi nei guai; le sorelle vorrebbero che si calmasse, ma non riescono né a domarlo né a redimerlo.

Quello che rischiava di mettere Gianluca nei guai era lo stretto legame con Giuseppe Setola, pluriomicida, scarcerato perché quasi non vedente, responsabile dell’omicidio di 18 persone.

In quel momento storico, Setola aveva saldamente in mano il potere e teneva per sé soldi che sarebbero spettati ai congiunti di Bidognetti. Della famiglia voleva avere contatti solo con Gianluca. Per questo le sorelle erano preoccupate: Teresa lo rimproverava, ma lui spiegava che assecondare Setola era ormai una necessità economica. Raccontava Teresa al padre: «Papà, io glielo dico sempre, ma quello lo sai che cosa ti risponde? Che dopo non puoi neanche mangiare! Papà, uno glielo dice a tavola quando sta mangiando, perché solo allora si vede lui. Uno glielo dice: apri gli occhi, ma quello non se ne fotte proprio. Tu vuoi andare per la via tua? E vai per la via tua, ma poi dopo non piangere. Io glielo dico sempre: quando vai a finire là dentro fai morire tuo padre, non noi, perché noi non ci veniamo, te lo puoi pure scordare». La vera spina del cuore di Francesco Bidognetti è la primogenita, Katia.

A lei spetta la maggior parte del denaro che gli affiliati consegnano alla famiglia: lo racconta la madre, Anna Carrino, che nel 2008 ha fatto la clamorosa scelta di «pentirsi», ovvero, di diventare collaboratrice di giustizia. Per questa ragione, per questa scelta, viene apostrofata “un’infame” dalle sue figlie.

Katia ricambia l’affetto speciale che il padre nutre per lei. Quando, a causa dei sequestri e degli arresti, i guadagni del boss diminuiscono, lei s’indigna: «Io non posso dormire perché è l’onore di mio padre; io non posso permettere che mio padre non ha una lira per pagare gli avvocati».

È così che Francesco Bidognetti, boss del clan dei Casalesi, in carcere dal 1993 continua a comandare nonostante il 41 bis, il cosiddetto carcere duro.

È così che lo scorso febbraio sono scattate le manette per 31 persone, tra cui le figlie Katia e Teresa.

A Francesco Bidognetti viene contestata l’associazione mafiosa e l’intestazione fittizia delle società di onoranze funebri. È il boss detenuto in regime di 41 bis a gestire la cassa del clan ed è lui il destinatario dei proventi delle attività illecite.

Katia Bidognetti, per diversi anni ha vissuto a Formia ed ha acquisito un ruolo cruciale nell’assetto del clan. È una donna-boss spietata, la cui condotta è improntata alla solidarietà criminale più che familiare.

A Formia, Katia si era trasferita per collocarsi lontano dai riflettori per fare “affari tranquilli”.

La figlia del boss voleva dimostrare la sua autonomia e assoggettare al suo sogno di gloria criminale anche la sorella Teresa, destinataria di un assegno di 600 euro al mese. Il padre chiede spiegazioni per quella cifra esigua e Katia Bidognetti sbotta: “Io mi sono scocciata papà, il fegato non lo tengo più”. Il padre prova a metterla in riga chiarendo che lui deve sapere sempre tutto, ma la donna arriva a minacciare il suicidio, temendo che le intercettazioni possano essere utilizzate per l’adozione di misure patrimoniali in suo danno.

Insieme all’arresto, quello dei sequestri delle proprietà e dei soldi resta il vero incubo dei Bidognetti.

A Formia Katia, la primogenita di Francesco Bidognetti, conduceva un tenore di vita che gli inquirenti non esitano a definire “dispendioso”.

Nelle numerose pagine dell’ordinanza che ha fatto scattare le manette per la primogenita di casa Bidognetti, vengono ricostruite le spese che la donna si concedeva e non solo per sé e i suoi due figli.

Un giro di denaro che, secondo la ricostruzione fornita dagli inquirenti, non viene giustificato in alcun modo, visto che Katia non svolgeva alcuna attività lavorativa e sicuramente, quindi, non poteva beneficiare di introiti “leciti”.

Eppure la sua disponibilità economica era tale da consentirle di garantire assistenza ai familiari detenuti, ma anche una quotidianità tutt’altro che fatta di stenti.

Katia infatti affrontava le spese di trasferta fuori provincia per sé e per i suoi figli minorenni servendosi di trasporto aereo, ferroviario, taxi o anche veicoli personali; sosteneva i costi per la preparazione dei cibi, di abbigliamento e di tutto quanto altro necessitavano i familiari detenuti. Aveva vissuto in un appartamento preso in affitto nella strada centrale di Formia, via Vitruvio. Seppure risulta quantomeno singolare come la Dia da intercettazioni abbia scoperto che l’affitto venisse pagato dalla suocera della Bidognetti, almeno fino al 2014.

A tutto questo vanno aggiunte le spese di sostentamento dei figli i quali non mancavano di partecipare a costosi campi estivi di intrattenimento, corsi di danza, corsi di calcetto, balneazione estiva, feste e di sfoggiare abbigliamento griffato.

Uno stile di vita che il personale inquirente ha evidenziato: “In assenza di lecite fonti di reddito, già basterebbe a ritenere saldamente fondata la tesi per la quale le risorse cui Katia Bidognetti attinge a piene mani siano frutto delle attività illecite poste in essere dal clan”.

Nonostante il tentativo di spostare la titolarità di alcuni beni al nuovo compagno – anche l’affitto dell’appartamento in via Madonna di Ponza a Formia dove è stata raggiunta dalla misura restrittiva lo scorso 2 febbraio – la manovra non ha convinto la Direzione investigativa antimafia.

Katia Bidognetti è una donna dei nostri tempi, che riesce ad adempiere a diversi ruoli: quella di mamma – che non disdegna di portare i figli con sé quando si reca da imprenditori e commercianti s ritirare il pizzo – quella di moglie, quella di nuovo capo virtuale di uno dei gruppi storici del clan dei casalesi.

Tags: 41 biscamorraclanclan dei casalesicriminalità organizzatafrancesco bidognettigomorrakatia bidognettiScianelteresa bidognetti
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