Asia (nome di fantasia) è una ragazza napoletana che diversi anni fa fu vittima di una violenza sessuale di gruppo che si consumò nei pressi di una delle tante stazioni dismesse della periferia vesuviana, ad opera di un branco di coetanei che nel tardo pomeriggio di una giornata invernale, mentre la giovane, scesa dal treno, si accingeva a tornare a casa a piedi, l’assalirono per abusare ripetutamente di lei.
Seppure siano trascorsi diversi anni da quel giorno che le ha segnato la vita, in questo periodo, inevitabilmente, Asia si vede costretta a ripercorrere di continuo lo strazio misto a dolore e paura che le ha oltrepassato la vita durante quegli interminabili attimi di violenza che è stata costretta a subire.
“Lo stupro di Rimini e il “boom” mediatico che ha suscitato quella brutta notizia – spiega Asia – hanno inorridito e scioccato tutte le donne. “Noi”, quelle che ci portiamo dentro i segni di una violenza come quella, l’abbiamo vissuta in maniera ben più angosciante, non poteva essere diversamente.
Non so perchè la stampa ha deciso di diffondere alcuni stralci della testimonianza di quella giovane, sbattendo in faccia a tutti i dettagli di quello stupro mostruoso.
A cosa serve diffondere questo genere di informazioni?A prescindere da come avviene e dalla “posizione” in cui abusano di te, una violenza sessuale è sempre un atto orrendo, lo dice la parola stessa. Chi ha voluto dare in pasto alla curiosità dell’opinione pubblica quei “retroscena” dovrebbe essere messo in condizione di non fare più questo lavoro, perchè credo che sia giunto il momento che qualcuno imponga una linea di confine oltre la quale i giornalisti non devono andare per non mancare di rispetto alla dignità e al dolore di una vittima.
E’ stato brutto e offensivo per me leggere le torture che quella ragazza ha dovuto subire, non posso immaginare quanto sarà difficile per lei riprendersi dopo tutto il clamore che la sua vicenda ha scaturito. Doveva essere lei a decidere se raccontare e a chi raccontare quei momenti che le passeranno davanti agli occhi tantissime volte, anche mentre starà facendo cose “normali”, come bere un caffè o prendere un treno. Solo chi ci è passato e ha vissuto un trauma simile può sapere davvero, fino in fondo, cosa significa.
Se penso ai suoi genitori che magari sono stati costretti a ripercorrere la violenza subita dalla figlia attraverso le pagine di un giornale, senza che lei abbia avuto il tempo e il modo di farlo di persona, mi viene da piangere. In questo modo non si aiuta una vittima nè le si assicura giustizia, si crea solo un caso mediatico che alimenta le chiacchiere da salone di parrucchiere ed è indecente ridurre a dei termini così poco dignitosi per la figura femminile un fatto grave come una violenza sessuale.
Tanti giornalisti, quando accadde a me, cercarono di portare a casa “lo scoop”, prospettando ai miei familiari perfino la possibilità di un’ospitata in quegli squallidi salotti trash della tv italiana che trasformano dei fatti di cronaca in argomenti di gossip, ma intorno a me ho avuto una famiglia che mi ha protetta e tutelata, in tutto.
Per assicurarmi una vita serena sono stata costretta a cambiare paese, ci siamo trasferiti altrove, perchè tutti ben presto vennero a conoscenza del fatto che la ragazza di cui si parlava perchè vittima di quella violenza ero io: gli occhi della gente che ti guardano come se fossi un’appestata sanno fare anche più male della violenza subita, perchè non permettono alle ferite che ti porti dentro di rimarginarsi.
Ero vergine quando mi hanno violentata e quel branco di animali ha rovinato per sempre quello che doveva essere uno dei momenti più attesi e felici della mia vita. Mi sono vista costretta ad andare incontro ad un lungo e sofferto percorso terapeutico che tutt’oggi è in corso, nonostante sia fidanzata e posso dire di aver superato l’angoscia che mi impediva di dormire la notte e che per molto tempo mi ha fatto accusare attacchi di panico e depressione acuta.
Non mi vergogno a confessare che pur di liberarmi di quella “macchia nera” che sento tutt’oggi dentro di me, ho pensato anche di togliermi la vita. Non ho mai avuto il coraggio di farlo solo perchè penso ai miei genitori, non potrei mai dargli anche questo dolore. Hanno sofferto già tantissimo per me e insieme a me dopo quel maledetto pomeriggio e so che non si danno pace e non riescono a perdonarsi per non essere stati in grado di proteggermi, ma nessuno poteva immaginare che sarei andata incontro a quell’incubo. Tre pomeriggi alla settimana andavo a lezioni di pianoforte, era la mia più grande passione e prendevo la circumvesuviana. Inutile dire che dopo quello che mi è successo non ho mai più poggiato un dito su un tasto. Non era mai successo che rientrassi nel tardo pomeriggio, in genere prima delle 17 ero già a casa.
Quel pomeriggio l’insegnante mi chiese di spostare di un’ora la lezione. Non era mai successo e quell’ora mi ha cambiato la vita. Persi il treno per tornare a casa e dovetti aspettare sulla stazione un bel po’, circa 40 minuti. Arrivai a destinazione che era tutto buio, la stazione è sprovvista di biglietteria e non è nemmeno illuminata. Fui l’unica a scendere dal treno. Quei cinque si materializzarono dal nulla, ancora ora non so dire se fossero scesi dal treno o se erano nella stazione a perdere tempo. Ricordo solo la puzza di spinello che mi alitavano in faccia mentre abusavano di me.
Non ho avuto il coraggio di raccontare a nessuno quello che mi hanno fatto e la cosa che maggiormente mi tormenta è che proprio perchè era troppo buio mi è stato impossibile fornire dettagli utili ai carabinieri e quei bastardi sono ancora a piede libero, l’hanno passata liscia.
Anche se non esiste una pena sufficientemente severa per cancellare il male che uno stupratore arreca alla sua vittima. Un male che si amplifica quando ad agire è un branco.
Non è importante entrare nei dettagli, anzi, è l’azione più spregevole che si può rivolgere alla vittima e altro non fa che “pompare” l’ego dei malintenzionati, fieri e orgogliosi di sentire dalla bocca della loro stessa vittima quanto sono stati “forti e bravi”.
Davanti a delle tragedie così grandi, fate parlare gli psicologi, date spazio agli esempi e ai segnali educativi e deterrenti, quelli che sappiano far vergognare gli autori di queste barbarie e soprattutto la legge italiana deve iniziare ad applicare misure più severe.
Spero vivamente che la stampa lasci in pace quella giovane e che non scatti “la caccia all’esclusiva”. Non gettate questa tragedia in pasto agli squali più di quanto non avete già fatto, nel rispetto di quella giovane polacca e di tutte le vittime di simili violenze.”