La diffusione a macchia d’olio della variante Omicron di coronavirus e la gravità apparentemente minore con cui si manifesta nei vaccinati stanno spingendo molti Paesi a un allentamento delle regole sulla quarantena.
Seppure tali decisioni non trovino supporto in recenti studi scientifici che inviterebbero ad adottare misure più prudenti.
Nel Regno Unito, il periodo di isolamento per i positivi vaccinati è stato portato a sette giorni rispetto ai 10 precedenti; negli USA, la quarantena per i positivi asintomatici è stata accorciata, nonostante il parere contrario di molti scienziati, a cinque giorni. In Italia il periodo di quarantena per i contagiati è di 10 giorni per i non vaccinati o vaccinati da poco e di sette per i vaccinati con dose booster (la terza dose) – a patto che un tampone certifichi, in entrambi i casi, la negativizzazione, seppure da più parti si preme per snellire la quarantena sul modello statunitense.
La motivazione è prettamente economica. La nuova ondata di contagi si è riversata su una popolazione ormai in gran parte vaccinata, perciò meglio protetta dagli esiti più gravi della malattia, con l’eccezione dei fragili. Si è fatta però sentire sul piano organizzativo: poiché Omicron riesce a “bucare” facilmente i vaccini, che risultano meno efficaci contro l’infezione, tra contagiati e contatti stretti sono venuti meno i lavoratori di molti servizi essenziali. Da qui la decisione di accorciare la quarantena.
Se si analizza il comportamento tipico del virus, però, la quarantena corta serve a poco. Secondo una revisione di 79 studi sulla dispersione virale nei contagiati pubblicata sulla rivista Lancet Microbe e citata da The Conversation, il picco di carica virale nelle persone infettate dalla variante Omicron si colloca tra il terzo e il sesto giorno dall’esposizione al virus.
Il lavoro che comprende dati su 5.340 pazienti ha tenuto conto non solo della carica virale, cioè della quantità di particelle virali presenti nell’organismo e rilevate dai tamponi molecolari anche dopo la guarigione dai sintomi; ha valutato anche la capacità di questi ospiti umani di far moltiplicare internamente il virus e diffonderlo, cioè la loro infettività.
In genere si parte con un paio di giorni di bassa carica virale che spesso sfugge ai tamponi rapidi per raggiungere un picco tra i giorni tre e sei, uno strascico tra il settimo e il nono e la completa scomparsa del virus attorno al decimo giorno. Tutto questo supporta la necessità di una quarantena di 10 giorni. Uno studio giapponese ancora in prepubblicazione conferma che il picco di dispersione virale nei contagiati da Omicron è tra il terzo e il sesto giorno dall’inizio dei sintomi. Altri lavori suggeriscono un periodo di infettività leggermente ridotto per gli asintomatici.
Inoltre, sulla base di una recente analisi dell’Università di Exeter (Regno Unito), una persona su tre tra i positivi ad Omicron sarebbe ancora infettiva dopo cinque giorni. Dunque le quaratene abbreviate permettono a un numero considerevole di persone potenzialmente contagiose, e non solo, probabilmente nel picco della dispersione virale, di ritornare alla vita pubblica.
I tamponi rapidi, che in molti casi bastano a certificare la guarigione, non sono sempre affidabili. Soprattutto se eseguiti a casa con procedure non sempre corrette potrebbero dare risultati falsamente rassicuranti.