La mafia non uccide solo servendosi di proiettili e tritolo e la storia di Adolfo Parmaliana lo comprova. Il 2 ottobre 2008, il professore di chimica industriale e segretario DS, rinviato a giudizio per diffamazione per aver denunciato il malaffare e gli intrecci politico mafiosi, si tolse la vita, gettandosi nel vuoto da un cavalcavia dell’autostrada Messina-Palermo.
Aveva cinquant’anni, era stato consulente per l’ambiente del sindaco di Roma Veltroni, oltre cento pubblicazioni all’attivo, professore di chimica industriale all’università di Messina, stimato essere uno dei massimi esperti internazionali nella ricerca di nuove fonti di energia rinnovabile, appassionato di politica, amante dei libri e degli abiti eleganti, tifoso della Juventus e amatissimo dai suoi studenti. Poco più che ventenne si era iscritto al Partito comunista e si era battuto con fermezza per affermare i valori della legalità e del buon governo nel suo paese, Terme Vigliatore, a pochi chilometri di distanza da Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina, zona franca dei boss di Cosa Nostra. Un contesto imbrigliato in contorti ed indistricabili intrecci tra mafia, massoneria, politica, alta finanza, autorevoli esponenti delle istituzioni.
Senza neanche rendersene conto diventò una figura scomoda, allorquando le sue denunce portarono allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune di Terme, il suo comune, il suo paese. Emarginato dal suo partito, subì la feroce vendetta del Partito Unico Siciliano, quello stesso partito finito nell’occhio del ciclone proprio grazie alle sue denunce, nell’ambito delle quali aveva indicato gli esponenti come collusi con la mafia e la parte malsana della società.
In sostanza, il professor Parmaliana decide di togliersi la vita pur di affermare la supremazia del bene sul male e non darla vinta ai suoi detrattori che avevano azionato la macchina del fango per screditarne le accuse, ma anche per punire quell’atto di coraggio che aveva concorso a determinare un esito tanto eclatante.
Una decisione scaturita in seguito alla notifica del rinvio a giudizio per l’accusa di diffamazione presentata dall’ex vicesindaco del comune di Terme che all’epoca dei fatti ricopriva la carica di presidente del consiglio comunale.
Parmaliana affidò ad una lettera – datata 1 ottobre, ma rinvenuta dai carabinieri insieme al cadavere solo il giorno seguente – per poi lasciarsi andare compiendo quel salto nel vuoto. Si schiantò in una cunetta nei pressi della vecchia stazione ferroviaria di Patti Marina dopo un volo di trentacinque metri, lasciando alla moglie Cettina, ai figli, Gilda e Basilio e a tutti noi le sue parole. In esse c’è ancora oggi tutta la sua credibilità di uomo che conosceva il suo destino e non era quello che altri si stavano arrogando il diritto di scrivere.
“La mia ultima lettera”
La Magistratura barcellonese/messinese vorrebbe mettermi alla gogna vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi, mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito di servitore dello Stato e docente universitario.
Non posso consentire a questi soggetti di farsi gioco di me e di sporcare la mia immagine, non posso consentire che il mio nome appaia sul giornale alla stessa stregua di quello di un delinquente. Hanno deciso di schiacciarmi, di annientarmi.
Non glielo consentirò, rivendico con forza la mia storia, il mio coraggio e la mia indipendenza. Sono un uomo libero che in maniera determinata si sottrae al massacro ed agli agguati che il sistema sopraindicato vorrebbe tendergli.
Chiedete all’Avv.to Mariella Cicero le ragioni del mio gesto, il dramma che ho vissuto nelle ultime settimane, chiedetelo al senatore Beppe Lumia chiedetelo al Maggiore Cristaldi, chiedetelo all’Avv.to Fabio Repici, chiedetelo a mio fratello Biagio. Loro hanno tutti gli elementi e tutti i documenti necessari per farvi conoscere questa storia: la genesi, le cause, gli accadimenti e le ritorsioni che sto subendo.
Mi hanno tolto la serenità, la pace, la tranquillità, la forza fisica e mentale. Mi hanno tolto la gioia di vivere. Non riesco a pensare ad altro. Chiedo perdono a tutti per un gesto che non avrei pensato mai di dover compiere.
Ai miei amati figli Gilda e Basilio, Gilduzza e Basy, luce ed orgoglio della mia vita, raccomando di essere uniti, forti, di non lasciarsi travolgere dai fatti negativi di non sconfortarsi, di studiare, di qualificarsi, di non arrendersi mai, di non essere troppo idealisti, di perdonarmi e di capire il mio stato d’animo: Vi guiderò con il pensiero, con tanto amore, pregherò per voi, gioirò e soffrirò con voi.
Alla mia amatissima compagna di vita, alla mia Cettina, donna forte, coraggiosa, dolce, bella e comprensiva: ti chiedo di fare uno sforzo in più, di non piangere, di essere ancora più forte e di guidare i ns figli ancora con più amore, di essere più buona e più tenace di quanto non lo sia stato io.
Ai miei fratelli, Biagio ed Emilio, chiedo di volersi sempre bene, di non dimenticarsi di me: vi ho voluto sempre bene, vi chiedo di assistere con cura e amore i ns genitori che ne hanno tanto bisogno. Alla mia bella mamma ed al mio straordinario papà: vi voglio tanto bene, vi mando un abbraccio forte, vi porto sempre nel mio cuore, siete una forza della natura, mi avete dato tanto di più di quanto meritavo. A tutti i miei parenti, ai miei cognati, ai miei zii, ai miei cugini, ai miei nipoti, a mia suocera: vi chiedo di stare vicini a Gilda, a Basilio ed a Cettina. Vi chiedo di sorreggerli.
Ai miei amici sarò sempre grato per la loro vicinanza, per il loro affetto, per aver trascorso tante ore felici e spensierate. Alla mia università, ai miei studenti, ai miei collaboratori ed alle mie collaboratrici sarò sempre grato per la cura e la pazienza manifestatemi ogni giorno. Grazie. Quella era 1° mia vita. Ho trascorso 30 anni bellissimi dentro l’università, innamorato ed entusiasta della mia attività di docente universitario e di ricercatore.
I progetti di ricerca, la ricerca del nuovo, erano la mia vita. Quanti giovani studenti ho condotto alla laurea. Quanti bei ricordi.
Ora un clan mi ha voluto togliere le cose più belle: la felicità, la gioia di vivere, la mia famiglia, la voglia di fare, la forza per guardare avanti.
Mi sento un uomo finito, distrutto. Vi prego di ricordarmi con un sorriso, con una preghiera, con un gesto di affetto, con un fiore. Se a qualcuno ho fatto del male chiedo umilmente di volermi perdonare.
Ho avuto tanto dalla vita. Poi, a 50 anni, ho perso la serenità per scelta di una magistratura che ha deciso di gambizzarmi moralmente. Questo sistema l’ho combattuto in tutte le sedi istituzionali. Ora sono esausto, non ho più energie per farlo e me ne vado in silenzio. Alcuni dovranno avere qualche rimorso, evidentemente il rimorso di aver ingannato un uomo che ha creduto ciecamente, sbagliando, nelle istituzioni.
Un abbraccio forte, forte da un uomo che fino ad alcuni mesi addietro sorrideva alla vita.