In seguito all’omicidio di Federico Vanacore, il 34enne assassinato mentre era a bordo della sua auto in viale Margherita a Ponticelli, intorno alle 16.30 dello scorso 6 febbraio, diventava sempre più palpabile il sentore che la camorra locale sarebbe tornata a sparare per mettere la firma su un altro delitto eccellente.
Un presagio tutt’altro che sedato dall’omicidio di Pasquale Manna, il 58enne assassinato lo scorso 2 marzo a Volla, ma morto a Ponticelli al culmine di un disperato tentativo di mettersi in salvo. Pregiudicato, nonchè elemento di spicco del clan Veneruso-Rea operante proprio nel confinante comune di Volla, l’omicidio di Manna, almeno agli occhi delle persone ben informate in materia di malavita locale, è immediatamente apparso avulso dalle dinamiche camorristiche ponticellesi.
Le frasi urlate dalla madre di Federico Vanacore, prima sulla scena del crimine e poi al cimitero nel giorno dei funerali, hanno fin da subito delineato uno scenario macabro e inquietante intorno al delitto. La donna, in maniera tutt’altro che velata, muove accuse ben precise ed indirizzate al cugino della vittima, il giovane figlio di uno dei fedelissimi al clan De Micco, attualmente detenuto, nonchè amico d’infanzia dei giovani eredi dei “Bodo”. Cresciuto insieme ai figli degli attuali boss di Ponticelli, il giovane non si sarebbe fatto scrupoli a partecipare all’agguato orchestrato per uccidere suo cugino Federico, fungendo da filatore, attirandolo in quella trappola mortale: questa l’accusa esplicitamente mossa dalla madre della vittima, urlata a gran voce, per giunta.
Il giovane cugino di Vanacore che era in auto con lui quando i sicari sono entrati in azione, si sarebbe dichiarato ignaro delle intenzioni dei sicari e assecondando il più primordiale degli istinti di sopravvivenza, quando ha compreso quello che stava accadendo, ha aperto la portiera dell’auto per dileguarsi, riuscendo così a mettersi in salvo. Una ricostruzione che insospettisce chi vive respirando le logiche della malavita nella zona di San Rocco, il rione in cui vive il giovane cugino di Vanacore, sopravvissuto all’agguato, ma anche lo stesso rione in cui è storicamente radicato il clan De Micco.
Le accuse mosse dalla madre della vittima, unitamente alle anomalie che emergono intorno alla ricostruzione dei fatti fornita dal cugino di Vanacore, delineano uno scenario tutt’altro che rassicurante che sembra destinato ad introdurre un altro delitto eccellente. Un sentore frutto di suggestioni che derivano anche da fatti non direttamente riconducibili all’omicidio di Vanacore.
Basta vedere cosa sta accadendo nei vari rioni del quartiere sotto la sfera egemone dei De Micco.
Le giovani leve sono state affiancate da ras più esperti, tra le tante cose, anche meritevoli di un “premio fedeltà”, forti degli anni trascorsi in carcere senza battere ciglio, senza generare problemi all’organizzazione, anzi manifestando un importante atto di fedeltà. Una condotta premiata, per l’appunto, dai De Micco che appaiono intenzionati a conferire lustro ai primissimi affiliati della cosca scarcerati di recente, dopo aver dato ampia riprova della loro tempra camorristica, adottando una condotta confacente ad un vero uomo d’onore durante l’intero periodo di detenzione.
Una strategia che delinea uno scenario che spaventa coloro che non intendono piangere la morte di altri giovanissimi, gettati in pasto alle feroci logiche della camorra, perchè soggiogati e sopraffatti dalle feroci logiche della camorra.
Su un fronte, i giovanissimi, quelli che si sono macchiati le mani di sangue, mettendo la firma sui delitti efferati maturati di recente, pur di andare incontro ad una rapida ascesa criminale.
Sull’altro fronte, i veterani che malgrado la giovane età, forti delle condanna scontata fornendo ampia prova di affidabilità e fedeltà, unitamente ad un’esperienza maggiore, rivendicano un ruolo di rilievo all’interno dell’organizzazione che non contempla l’ipotesi di sottostare alle direttive di ragazzini alle prime armi che tra l’altro, proprio perchè si sono esposti al rischio di finire in carcere, hanno le ore letteralmente contate.
Anche perchè, in maniera pressochè inaspettata, il clan De Micco ha beneficiato della scarcerazione di alcune figure di spicco dell’organizzazione, in primis Fabio Riccardi e Giuseppe De Martino, che hanno concorso così a rafforzare l’assetto strutturale ed organizzativo della cosca. Motivo per il quale, se nel momento di maggiore difficoltà, quando la faida con i De Luca Bossa era nel vivo, i De Micco hanno fatto leva soprattutto sul supporto delle giovani leve per ovviare alle esigenze dettate dalle circostanze, adesso lo scenario sembra mutato drasticamente, sia perchè la guerra con la cosca del Lotto O sembra superata, sia perchè possono usufruire del supporto ben più prezioso e autorevole della vecchia guardia scarcerata di recente.
Un 20enne disposto ad uccidere un coetaneo per gestire i traffici illeciti nel rione in cui è nato e cresciuto, può essere in grado di vivere serenamente la consapevolezza che potrebbe entrare in carcere per non uscirne mai più?
Proprio perchè il clan De Micco non può esporsi al pericolo di vedersi costretto a fare i conti con l’ennesimo pentimento, la cosca potrebbe agire in maniera risolutiva, sbarazzandosi di quei giovani prima che vengano arrestati per garantire all’organizzazione l’omertà necessaria per privilegiare il buon esito degli affari.
Questo lo scenario attualmente più temuto nei rioni in odore di camorra di Ponticelli.