Più che una cappella votiva è un vero e proprio mostro architettonico quello edificato in Via Cupa Vicinale Pepe 38/40 a Ponticelli, a ridosso del cosiddetto Lotto 1, un tempo fortino della “pazzignana” Gabriella Onesto, attualmente detenuta, oggi ridotto ad arsenale dei reduci della famiglia che sotto le direttive di una delle nipoti della donna-boss continuano a gestire il business dello spaccio e a controllare la zona.
Una vera e propria dépendance abusiva con tanto di tettoia e pareti finestrate, in modo da rendere visibili i volti dei martiri custoditi all’interno dell’altare votivo, gelosamente controllato dalle “pazzignane”. Un’ingombrante statua di Padre Pio che torneggia sulle tante cornici in cui sono riposte le fotografie dei defunti: un bambino che abitava in zona prematuramente scomparso, ma anche parenti e affiliati al clan hanno perso la vita in agguati di matrice camorristica, come Antonio Maione, il fratellastro di Gabriella Onesto, ucciso dai Mazzarella per compiere una venetta trasversale. Ivan Maione, fratello di Antonio, non aveva ancora raggiunto la maggiore età quando assassinò Salvatore Mazzarella, l’unico dei fratelli fondatori dell’omonimo clan estraneo alle dinamiche camorristiche.
Un vortice di violenza e vendetta dal quale Ivan Maione uscì diventando un collaboratore di giustizia. Al termine di tale percorso è poi tornato a vivere all’ombra del Vesuvio e in più di una circostanza è finito nel mirino dei sicari, mentre il conto tra i Mazzarella e le “pazzignane” è rimasto in sospeso. Negli anni in cui Gabriella Onesto, con il supporto di Vincenza Maione e Luisa De Stefano, era riuscita a riconquistare un posto autorevole nell’ambito dello scacchiere camorristico della periferia orientale di Napoli, subì un agguato dai Mazzarella, mentre si trovava a Porta Nolana per riscuotere le tangenti. Un agguato dal quale uscì indenne, ma che turbò profondamente la lady-camorra. Impossibile stabilire se quegli spari fossero scaturiti da dinamiche riconducibili alla faida in corso per il controllo del territorio in quel momento storico o se, invece, celassero la volontà dei rivali di regolare quel vecchio conto in sospeso. I fantasmi del passato tornarono a bussare alla porta dei ricordi della Onesto anche in occasione dell’evento che ha sancito la fine dell’era camorristica più florida per il clan di famiglia: il pentimento di Tommaso Schisa, figlio di sua cugina Luisa De Stefano e rampollo dell’organizzazione. Quando i familiari compresero che non potevano fare nulla per opporsi alla volontà manifestata dal giovane di voltare le spalle alla malavita, Gabriella Onesto confidò alle persone a lei più vicine il turbamento che le derivò da un evento inquietante: aveva sognato suo fratello Antonio, il quale sembrava annunciarle una brutta sventura.
Tanto basta per comprendere di quanti e quali significati sia pregna l’immagine di Antonio Maione agli occhi di parenti e affiliati al clan e non a caso riposta all’interno di quel voluminoso altare votivo, sorvegliato giorno e notte dai gregari del clan operanti in zona. Ai bambini viene vietato di giocare in prossimità del “tempio della camorra”, allo stesso modo i passanti non possono avvicinarsi.
La necessità di preservare il controllo del territorio e di imporre venerazione e sudditanza psicologica ai residenti in zona si è fatta ancora più impellente all’indomani dei blitz che di recente hanno concorso a sgominare il cartello camorristico costituito dai vecchi clan dell’ala orientale di Napoli e di cui Gabriella Onesto e le ‘pazzignane’ erano un’autorevole espressione. I reduci, i parenti rimasti in libertà e che continuano a gestire il business della droga nella zona del cosiddetto “Lotto 1”, sotto le direttive di una nipote della Onesto, coadiuvata dal suo compagno, necessitano di preservare una certa credibilità agli occhi dei cittadini e soprattutto dei rivali: i De Micco-De Martino che costituiscono una costante e concreta minaccia per le finanze dell’ormai rimaneggiato clan delle “pazzignane”.
Non è difficile comprendere perchè gli sforzi di quello che resta delle “Pazzignane” sono prettamente concentrati in una direzione ben precisa: quella che mira a preservare l’integrità del simbolo del potere della cosca, rappresentato proprio da quella dépendance abusiva.