La generazione dei fenomeni virali, dell’apparire che sovrasta e devasta l’essere, traghettando le coscienze verso un baratro nel quale impazza una violenta crisi di valori. Giovani scellerati, superficiali, per i quali possedere un i-Phone equivale ad uno status sociale, una sorta di qualifica abilitante ad una posizione degna di nota, dove le credenziali alle quali attenersi per tributare attenzione e stima si basano sul numero di follower e “like” ottenuti dai post e dalle foto pubblicate sui social network.
Un’istantanea inquietante eppur tutt’altro che allarmista e che nelle ultime ore ha saputo fornire l’ulteriore comprova di quanto la crisi d’identità dei nostri giovani li porti a proiettarsi verso scenari sempre più orfani di contegno, senso del pudore e buon senso.
All’uscita di scuola di un sabato qualunque, ancora con lo zaino sulle spalle un gruppo di studentesse si ritrova davanti alla fossa dove, fino a poche ore prima, era sepolto il corpo di un ragazzo di appena diciotto anni ucciso con diversi colpi di pistola alla testa. Qualcuna sorride, altre scattano foto con il telefonino. Accade a San Giovanni a Teduccio, la fossa in questione è quella in cui è stato ritrovato il corpo del 18enne incensurato Vincenzo Amendola, scomparso la sera del 5 febbraio. Per cercarlo, familiari e amici si erano rivolti anche a “Chi l’ha visto?” ed avevano organizzato una fiaccolata al culmine della quale era stato lanciato un appello ricolto a chiunque avesse notizie utili alle indagini, affinché provvedessero a fornirle anche in forma anonima. Dopo due settimane, lo hanno trovato sotto mezzo metro di terra in quel campo che giace a pochi metri di distanza da un paio di istituti scolastici e dal parco pubblico intitolato a Massimo Troisi. Gli hanno sparato alla testa.
La squadra mobile ha fermato un sospettato: si tratta di Gaetano Nunziato, 23 anni, accusato di omicidio aggravato dal metodo mafioso nonché di porto e detenzione illegale di arma da fuoco e dell’occultamento del cadavere del giovane. In passato era stato denunciato per reati contro il patrimonio e per droga. Il movente è ancora poco chiaro. Sullo sfondo, ipotizzano gli investigatori coordinati dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice, un movente passionale o una “punizione” decisa dalla camorra per ragioni da chiarire. Tra i punti oscuri sui quali gli inquirenti sono chiamati a far luce e il dramma di una giovane vita barbaramente trucidata, giace la superficiale follia delle teenager, giunte sul luogo in cui è avvenuto il ritrovamento di quel corpo barbaramente giustiziato per scattare foto a quella fossa.
La foto, soprattutto se pubblicata in rete, rappresenta un modo rapido ed efficace per cavalcare l’onda mediatica più gettonata del momento a proprio vantaggio. Questa la cinica ed incolore motivazione che anima le gesta del popolo schiavo della logica introdotta dai social network. La generazione dei selfie e delle mode da seguire, senza chiedersi come né perché, incapaci di provare emozioni che impongano una condotta diversa rispetto a quella imposta da quel caotico susseguirsi di hashtag e pose ammiccanti, non solo davanti alla fossa che ha accolto il cadavere di un loro coetaneo. Quest’ultimo episodio rappresenta la rimostranza più estrema, ma, nel mezzo, ci sono quei meccanismi indotti che quotidianamente si ripetono. Dagli scatti che immortalano i momenti d’intimità, – dai baci più innocenti alle foto più hot – fino alla meticolosa e quasi maniacale condivisione del tutto: gli outfit davanti allo specchio, come a voler rafforzare la convinzione di aver indossato la t-shirt giusta ed averla correttamente abbinata alle scarpe; le foto alle pietanze, soprattutto se particolarmente succulente, senza tralasciare le altre e ben più macabre immagini che ritraggono “i fanatici dell’apparire” accanto ad amici e parenti ricoverati in ospedale e talvolta il web ha accolto perfino i selfie con i nonni defunti.
Tutto fa brodo quando c’è da macinare “click e like” e in un mondo sempre più assetato di popolarità e clamore, il buon gusto e il senso del pudore tendono a sbiadire, di post in post.
Al cospetto della fame di visibilità generata dall’uso improprio e compulsivo di quei “mostri virtuali” che si chiamano social network, non esistono regole da rispettare e non c’è spazio né posto per chi vuole andare controcorrente. Difatti, quelle ragazzine, nell’apprendere quanto clamore mediatico ha sortito la loro visita alla fossa in cui è stato seppellito Vincenzo, non proveranno vergogna né pentimento, piuttosto saranno orgogliose ed entusiaste del “successo” ottenuto.
Foto: Marco Sales