Sempre più spesso, negli ultimi tempi, si sente parlare di giovani vite tediate, spezzate da disturbi dell’alimentazione, disordini che invadono, rabbuiando, la spensieratezza dell’adolescenza.
Visioni distorte del proprio corpo si mostrano a specchi truccati, occhi troppo attenti notano i difetti di corpi idealmente imperfetti.
Ma, poi, chi decide cos’è la perfezione?
Succede in Gran Bretagna che alla casa di moda Yves Saint Laurent viene censurata una nuova campagna pubblicitaria, perché la modella ritratta nella foto appare “sottopeso come se fosse malata”.
Così l’ha definita l’Advertising Standards Authority (Asa), autorità che regola la pubblicità. La foto in questione ritrae una ragazza distesa a terra, come se fosse stata colta da un malore, dalle cosce della stessa circonferenza del ginocchio e con le ossa del torace notevolmente evidenti, questo accentuato dalla luce che sembra mettere in risalto nient’altro che la magrezza, se così può essere definita, della modella.
La foto è stata pubblicata da Elle UK e l’Asa intervenuta dopo la denuncia di una lettrice ha scritto: “abbiamo giudicato che la modella sembrava in cattiva salute e sottopeso nella pubblicità e concluso che era irresponsabile pubblicarla”.
Non è la prima volta che l’Asa interviene, in passato aveva già censurato una pubblicità Miu Miu con una modella molto giovane in una posa troppo sensuale; era già capitato che il bersaglio fosse la casa di moda francese, nel 2011, la pubblicità del profumo “Belle d’Opium” era stata proibita perché sembrava che la modella assumesse droga.
Ed è così che si mostra la corsa sfrenata all’irreale idea di una perfezione malata.
La non accettazione del proprio corpo che sta stroncando masse di giovani troppo attenti, troppo deboli per difendersi da pubblicità invadenti, da quei corpi androgini che riempiono gli schermi, i giornali, i cartelloni pubblicitari, dall’idea di magro è bello che ci viene propinata ossessivamente.
L’unicità dell’individuo si perde nell’omologazione in cui la società ci risucchia, come un vortice, in cui quello che conta è apparire, non per ciò che si è realmente, ma per quello chi per noi, vorrebbe imporci di dover/voler essere, piuttosto che auspicare di ricercare la perfezione nell’imperfezione che caratterizza l’essere umano in quanto tale.
Chiara Cancelli