La morte di Maikol Giuseppe Russo ha lasciato un vuoto e un dolore forte vivi nel cuore di Forcella, un quartiere che palesa esasperazione perché stanco di vedersi additato come una brutta e losca realtà in balia della camorra.
Forcella è anche e soprattutto il luogo in cui sono nati, cresciuti e vissuti, fino a quando gli è stato concesso, quelli come Maikol Giuseppe Russo ed Annalisa Durante. Come loro, tante, tantissime persone umili, oneste, perbene vivono in balia delle fitte trame che la camorra tesse intorno alle loro vite. La pioggia ha lavato via il sangue di Maikol. Ora restano solo la rabbia e il dolore. La rabbia per una morte assurda. Il dolore per la perdita di un «uomo buono».
La mamma Lina, il padre Antonio, il fratello Marco, più piccolo di Maikol di due anni: questa la famiglia al cui sostentamento contribuiva il 27enne ucciso lo scorso 31 dicembre arrangiandosi con la bancarella di occhiali e calamite allestita proprio in piazza Calenda, a pochi metri da casa. E poi fratellini Kevin di 17 anni e Anita, la piccola di casa di soli 13 anni. Maikol e Marco contribuivano a mettere il piatto caldo a tavola, a vivere con dignità e onestà un’esistenza difficile, lontano dalle facili promesse della criminalità come per tanti qui nel quartiere. Da qualche anno, nell’umile appartamento di via Annunziata vivevano anche Anita, moglie di Maikol, e i loro due figli. Tutti insieme, perché impossibilitati a pagare un altro affitto, ma felici di quel poco che riusciva a portare a casa vendendo i calzini. Nessun risparmio messo da parte.
La famiglia Russo infatti i soldi per pagare il funerale non li aveva. I tremila euro li hanno messi insieme gli amici di Maikol, che sapendo delle loro difficoltà economiche, hanno voluto contribuire alle spese, palesano quella generosa bontà d’animo che sovente la coscienza di questo popolo riscopre, al cospetto delle sventure. Maikol era un ragazzone sorridente e timido che ha sempre lavorato, sacrificandosi in ogni modo.
Alcuni anni fa, dopo la nascita del primogenito Antonio, aveva capito che a Napoli non c’è futuro. Lui sapeva solo lavorare onestamente ed è partito per gli Stati Uniti in cerca di fortuna. Con una valigia piena solo di speranza, convinto di poter dare un futuro migliore alla sua famiglia, ha vissuto in Texas per lavorare come lavapiatti e cameriere in un ristorante. Una volta rientrato, immediatamente ha fatto ciò che desiderava da tre anni: ha sposato la sua amata Angela, che poco dopo gli darà il secondogenito. Poi espatria di nuovo, stavolta per la Germania. Per sette mesi ha lavorato in un’azienda di automobili vicino Stoccarda. Guadagnava molto bene ed era felice. Mandava a casa quasi tutto lo stipendio, perché lui si accontentava di poco. Ma la malinconia ha preso il sopravvento: i figli crescevano senza vedere il papà e gli si spezzava il cuore ogni volta che sentiva la loro voce al telefono. Era partito per loro, per non fargli mancare nulla. Però aveva capito che i beni materiali non erano niente in confronto a un suo bacio.
Così, una volta tornato si era messo a vendere calzini insieme a Luigi e Luciano. Si svegliava alle 5 del mattino e partivano per andare a Roma, Formia, Latina, altrimenti stazionavano al corso Umberto. Poi tornava la sera all’ora di cena, stanco ma contento di aver messo insieme quei 70-80 euro. Niente a confronto con gli stipendi in Germania o nel Texas, ma era con i figli, li vedeva crescere.
«Hanno ucciso un uomo con un cuore generoso, che sorrideva a tutti. Non ha mai preso in mano un coltello, non ha mai toccato una pistola. Le sue mani si sono sporcate solo con il lavoro onesto. La sua unica arma era il sorriso».
Così lo raccontano e lo ricordano gli amici, le persone che lo hanno conosciuto, vissuto ed amato e che adesso non posso fare altro che compiangerlo e rimpiangerlo, miscelando le loro lacrime alla pioggia. Quella stessa pioggia che ha lavato via il sangue, ma non il dolore e la rabbia sortiti dalla morte di Maikol: un ragazzo onesto, ucciso dalla camorra, per errore.