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Ecco come il ras del Conocal di Ponticelli estorceva denaro agli abitanti del rione

Luciana Esposito di Luciana Esposito
30 Maggio, 2023
in Cronaca, In evidenza
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Omicidio Costanzo: la famiglia D’Amico si è dissociata dal cugino nei giorni scorsi
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Continua a far parlare di sè Vincenzo Costanzo, il 26enne ucciso a Napoli lo scorso 5 maggio, durante la festa scudetto. A meno di un mese dall’omicidio del nipote acquisito del boss Antonio D’Amico, la nostra redazione continua a ricevere segnalazioni da parte degli abitanti del parco Conocal di Ponticelli, il rione in cui negli ultimi anni il giovane stimato essere il reggente del clan fondato dalla famiglia D’Amico.

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La narrazione di aneddoti e fatti circostanziati concorrono a chiarire il ruolo ricoperto da Costanzo, oltre a ricostruire il modus operandi adottato dal giovane per taglieggiare le sue vittime.

Il cosiddetto “ciculill'” ha ulteriormente imbruttito i toni, concorrendo ad introdurre nel “suo” rione un clima molto più pesante per i residenti in zona estranei alle dinamiche camorristiche, rispetto a quello di per sé già abbastanza inquietante imposto da Annunziata D’Amico, la donna-boss subentrata nella reggenza del clan ai fratelli Antonio e Giuseppe, quando finirono in carcere, uccisa in un agguato di camorra il 10 ottobre del 2015. “La passillona” – così veniva soprannominata la D’Amico – ha pagato con la vita il diniego di scendere a compromessi con i rivali del clan De Micco che avevano preteso una tangente pari al 50% sui proventi dell’attività di spaccio di stupefacenti da lei gestita. In quel momento storico, la donna-boss gestiva 15 piazze di droga nel rione Conocal, tutte quotatissime e in grado di garantire ingenti guadagni all’organizzazione. Una torta che non ha voluto dividere con gli affiliati al clan rivale, non solo per mera avidità. Quell’irremovibile diniego scaturiva soprattutto da una questione d’onore: Annunziata D’Amico non tollerava l’idea che il boss del clan antagonista le imponesse di piegarsi alle sue imposizioni. Per “la passillona” quel rione era suo e andava protetto e preservato a ogni costo. Anche a discapito della vita.

Non solo droga: la D’Amico si assicurava ingenti guadagni anche gestendo con sfrontato cinismo la compravendita delle case popolari del suo rione, il Conocal. In quel momento storico, esattamente come continua ad accadere anche oggi, bastava un pretesto, uno screzio, un atteggiamento interpretato come irrispettoso nei riguardi dei membri della famiglia/clan D’Amico per vedersi sbattere fuori dalla propria abitazione. Una politica perentoria che non ha riguardato soltanto i familiari dei collaboratori di giustizia e che non fu avviata solo per ragioni di natura economica, ma soprattutto per introdurre un clima di terrore necessario per assicurarsi omertà e connivenza da parte della gente comune. Gli abitanti del Conocal sanno bene che è meglio non sfidare i D’Amico per evitare di imbattersi in quel genere di guai.

Forti contro i deboli, costretti a soccombere al cospetto dei clan più strutturati e organizzati: oggi come allora, la costante che si ripete nella storia camorristica dei D’Amico è proprio questa.

Lo sottolinea ancor più l’epilogo della storia terrena di Vincenzo Costanzo alias “Ciculill'”. Poco più che maggiorenne fu chiamato a gestire e controllare gli affari illeciti nel rione-simbolo dell’egemonia camorristica della famiglia/clan D’Amico: forti contro i deboli, costretti a soccombere al cospetto dei clan più strutturati e organizzati.

L’onore è il leitmotiv che avrebbe dovuto traghettare e ispirare le gesta camorristiche di Vincenzo Costanzo: “più caro della vita abbi l’onore”, questa la frase che campeggia sui suoi profili social, accompagnata da due corone. Si sentiva “il re” del Conocal, perchè lì controllava tutto e tutti, tenendo in ostaggio le vite di decine di persone vessate, minacciate e terrorizzate dai suoi ricatti estorsivi.

Non solo i pochi euro pretesi per parcheggiare auto e scooter “serenamente” negli spazi pubblici del rione; non solo le estorsioni alle attività commerciali, sia dichiarate che abusive che in passato avevano sempre beneficiato di una sorta di immunità, così come previsto dal vecchio “codice d’onore” camorristico per ingraziarsi il popolo e creare le condizioni ottimali per preservare la longevità degli affari illeciti. Una priorità sovvertita abbondantemente dal modello di business malavitoso imposto da “Ciculill'” che ha spremuto come un limone gli abitanti del Conocal, non solo seguitando a gestire la compravendita delle case popolari con cinismo e avidità, ma anche imponendo una serie di estorsioni a tappeto, principalmente indirizzate a persone estranee alle dinamiche camorristiche.

Il giovane ras del Conocal non si sarebbe limitato ad appropriarsi di una sfilza di appartamenti che ha ripopolato a suo piacimento, ma avrebbe imposto estorsioni da capogiro anche ai nuclei familiari intenzionati a ristrutturare gli alloggi in cui vivevano. Un principio adottato anche dai Casella in via Franciosa: se una famiglia intende farsi carico di piccoli lavori utili a rinnovare le mura domestiche, allora vuol dire che dispone di soldi da spendere. E lì dove la camorra fiuta l’odore dei soldi, rivendica con intimidazioni e minacce la sua parte di guadagno.
Se il capofamiglia non provvedeva a consegnare a Costanzo la cifra richiesta, i lavori non potevano avere inizio.

Un principio che Costanzo avrebbe esteso anche alle famiglie che richiedevano dei prestiti o finanziamenti, avvalendosi dei canali legali e abilitati, quindi rivolgendosi alle banche e agli istituti creditizi e non alle donne del clan D’Amico, dedite a praticare anche l’attività usuraia. Diversi padri di famiglia, con occhi pregni di lacrime e mortificazione, riferiscono di essere stati costretti a richiedere un prestito di importo superiore per assecondare la richiesta estorsiva di “Ciculill’“. La somma richiesta dal ras non era mai inferiore ai mille euro e in alcuni casi ha raggiunto cifre ben più onerose.

Oltre al danno, le famiglie taglieggiate e minacciate erano costrette a subire anche la beffa: quando si recavano presso l’abitazione di Costanzo per consegnare il denaro, venivano anche schiaffeggiati, derisi, umiliati. In diverse circostanze, anche i genitori del ras del Conocal avrebbero assistito alla scena manifestando approvazione ed esaltazione per lo status di “capo” conquistato dal figlio e sottolineato dal buon esito della richiesta estorsiva. Una famiglia che provava piacere nell’esercitare una violenta sudditanza psicologica e nel tastare la sottomissione dei residenti in zona: questo il quadro che emerge dal racconto delle vittime di Vincenzo Costanzo.

Anche i percettori del reddito di cittadinanza erano costretti a corrispondere una percentuale al clan. La tangente imposta agli abitanti del Conocal che beneficiavano del sussidio statale oscillava tra i 150 e i 300 euro mensili, in base all’importo che gli era stato riconosciuto.

“Ciculill’ ha letteralmente tolto il pane dalla bocca della brava gente”: questa la frase pronunciata da una delle vittime del ras, costretta ad andare via dal Conocal, perchè il ras lo ha cacciato dalla sua abitazione, malgrado quella casa gli era stata assegnata dal Comune di Napoli.

Perché nessuno ha mai denunciato?

Una domanda lecita che introduce una risposta scontata: l’arma utilizzata dal ras per dissuadere le sue vittime dal denunciarlo erano le minacce di morte. “Se non mi porti subito i soldi, tra tre ore ti vengo ad uccidere”: era questo il tono con il quale Costanzo si rivolgeva alla vittime finite nel suo mirino. “Promesse di morte” che avrebbe esteso anche ai figli, ai bambini, mostrandosi cinico e senza scrupoli, perchè consapevole che far leva sulle paure di quelle persone miti e indifese era la strategia migliore per garantirsi l’immunità necessaria per continuare ad elargire lauti guadagni senza particolari sforzi e al contempo seguitare ad esercitare quella forma di controllo dispotico sul rione, ugualmente necessario per ritagliarsi la fama del ras temuto e rispettato.

Tuttavia, la consapevolezza che l’ipotetico arresto di Costanzo fosse imminente trapela della parole che scorrono sui profili social dei parenti: “ero già pronta a girare tutti i carceri d’Italia tutte le settimane”, scrive sua sorella. I giorni che hanno preceduto l’omicidio del ras del Conocal erano infatti scanditi soprattutto da quel rumors che si faceva progressivamente sempre più insistente. Un arresto temuto, quello di Costanzo. Non hanno esitato a spiegarlo quegli stessi residenti in zona tormentati dal ras: i suoi sodali temevano che non fosse in grado di reggere la detenzione e che la dipendenza dalle droghe potesse rappresentare un punto debole sul quale la magistratura avrebbe potuto far comodamente leva, trovandosi la strada spianata per accedere ad informazioni che avrebbero esposto a un pericolo tangibile l’intera famiglia/clan. Uno scenario ricostruito nitidamente diversi giorni prima dell’omicidio di Costanzo.
Un omicidio che non ha affatto colto di sorpresa le sue vittime che adesso auspicano in un repentino intervento dello Stato, prima che tra le rovine del Conocal si faccia spazio un altro giovane spregiudicato, pronto a tormentarli e torturarli come aveva fatto Costanzo, fino a poche ore prima di essere ammazzato.

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