Meglio di qualunque articolo, reportage e servizio giornalistico, chi è Luigi Cimmino, il boss di camorra che detta le leggi del clan egemone tra le mura del quartiere Vomero, lo racconta la storia di Fabio Postiglione: un “giornalista giornalista” che scrive per “Il Roma”, ma ancora di più, a tutela di quel giornalismo d’inchiesta che trova sempre più gretta ed arrancata espressione nell’era contemporanea.
Fabio è un giornalista minacciato, uno dei tanti, ma non uno come tanti.
Dallo scorso luglio, – probabilmente non a caso da quando Cimmino era stato scarcerato ed aveva dato il via alla sua latitanza – Postiglione ha subito plurime e gravi minacce.
Danneggiamenti allo scooter e all’auto. Vetri distrutti, fracassati, presi a bastonate, specchietti brutalmente rotti, pneumatici tagliati, nell’ambito di un’escalation di violenza sempre più feroce e consistente.
“Sappiamo dove abiti e sappiamo picchiare duro”: questo il messaggio esplicito insito in quei raid minatori e vigliacchi.
E non è tutto: un inseguimento fin sotto casa da parte di due uomini in sella ad uno scooter e, soprattutto, quell’intercettazione estrapolata da una conversazione telefonica tra Cimmino e sua moglie: “quel giornalista va sistemato”.
E “quel giornalista” era Fabio Postiglione: un “giornalista giornalista” che non ha mai permesso alla paura di sbarrare il passo alle sue inchieste.
Capace di colpire la camorra laddove il colpo risulta più letale: nell’orgoglio, gli articoli di Fabio mettono in piazza i fatti e i misfatti del clan e servendosi di un’acuta ironia riescono perfino a sbeffeggiare “la rispettabilità” tacitamente “dovuta” agli interpreti di rilievo della criminalità organizzata.
Questo al clan del “diavolo”, – questo il soprannome del boss Cimmino – proprio non andava giù e tanto basta per tramutare la libertà d’informazione più che degnamente interpretata da un “giornalista giornalista” come Fabio in un incubo pieno di ombre ed incertezze, dal quale Fabio avrebbe voluto risvegliarsi solo per ritornare a riappropriarsi dell’unica cosa che conta per un “giornalista giornalista”: fare il suo lavoro, nell’unico modo in cui sa farlo, senza paura, senza pressioni, senza vedersi costretto a guardarsi le spalle, senza dover convivere con quel nodo al cuore, a base di rabbia frammista a mortificazione, sortito dalle lacrime di una madre affranta e preoccupata, senza trascorrere notti insonni e sottrarre tempo prezioso al lavoro, alle inchieste per recarsi al commissariato, ancora una volta, per sporgere l’ennesima denuncia, destinata ad implementare il già fitto castello di scartoffie.
Stamattina, al suo risveglio, Fabio Postiglione ha scoperto di essere uscito da quell’incubo che “il diavolo” aveva imbastito nella sua vita: Luigi Cimmino, 55 anni, latitante da circa un mese, è stato arrestato dai Carabinieri del Comando provinciale di Napoli a Chioggia (Venezia) in un blitz scattato nella notte in Veneto e Campania.
A Napoli, i Carabinieri hanno arrestato il genero di Cimmino, Pasquale Palma, 35 anni, anche lui ricercato. Entrambi sono accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso ed estorsione.
Cimmino è stato rintracciato in un’abitazione in un condominio a Chioggia, aveva una borsa pronta e 7.000 euro in contanti.
Invero, Cimmino e Palma erano già stati arrestati il 24 luglio scorso, ma il Tribunale del Riesame aveva annullato il provvedimento dopo qualche giorno e sia il boss che il genero, una volta scarcerati, si erano subito resi irreperibili.
All’inizio di febbraio la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei magistrati della Dda e ha ripristinato l’ordinanza di custodia cautelare eseguita nel blitz della scorsa notte dai Carabinieri e che, di fatto, decreta la fine della fuga del “diavolo” e una potenziale vittoria non solo per la legalità, ma anche e soprattutto per quella libertà d’informazione che vede in Fabio Postiglione uno dei suoi interpreti più validi ed ammirevoli.