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“Diario di una giornalista di strada”: a Roma per manifestare per la libertà di stampa

Luciana Esposito di Luciana Esposito
24 Maggio, 2017
in In evidenza
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“Diario di una giornalista di strada”: a Roma per manifestare per la libertà di stampa
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Roma, 24 maggio 2017 – Inpgi, Casagit, Usigrai, Articolo21, Ordine dei giornalisti del Lazio, Pressing NoBavaglio, Unione giornalisti pensionati (Ungp), associazione Amici di padre Dall’Oglio, associazione Amici di Roberto Morrione, associazione Carta di Roma, Italians for Darfur, Libera informazione: sono alcuni dei partecipanti al presidio indetto dalla Fnsi per chiedere a Governo e Parlamento provvedimenti concreti sul contrasto al fenomeno delle querele temerarie, sul problema delle minacce ai cronisti e sui temi del lavoro, della lotta al precariato e dei diritti.

A Roma, a manifestare per la libertà di stampa e contro tutte le forme di minacce, c’erano tanti giornalisti, precari, idealisti. Tanti volti, tante storie, più o meno silenziose che, messe in fila, fanno rumore, per quanto rimbomba l’eco dell’esasperazione che le trapassa.

La disperazione di un futuro che sempre più spesso assume le connotazioni del punto interrogativo e che narra un dramma condiviso e comune a tanti giornalisti costretti a svendere il proprio lavoro e/o ad accettare compromessi e condizioni economiche che sbeffeggiano le regole più basilari, dettate dal buon senso, in primis, e alle quali doverosamente dovrebbe ispirarsi una società che desidera professarsi come “civile”.

Le querele temerarie: l’escamotage più ingegnoso e vile, al contempo, praticato dai colletti bianchi e non solo, per colpire il giornalista nel suo punto comprensibilmente più debole: il portafogli.

Come detto, un lavoratore precario o che impara a destreggiarsi come un abile acrobata tra le vicissitudini e gli stenti di una vita e una professione declassata e bistrattata da contratti e presunti tali che di per sé non assicurano sonni tranquilli, non può vivere bene una notifica di querela, perché sa che, in ogni caso, richiederà un dispendio economico. Ed è paradossale, com’è stato abbondantemente rimarcato oggi, che lo Stato non intervenga per sedare il continuo protrarsi di attentati, voluti e mirati, alla libertà di stampa.

E poi ci sono i giornalisti minacciati. Raggiunti da plurime e parimenti temibili forme di violenza.

Noi giornalisti minacciati della Campania siamo arrivati a Roma in treno. Tutti insieme, uniti da un calvario, umano e professionale, e dal lavoro del Sindacato Unitario dei Giornalisti della Campania che puntualmente supporta e sopporta le nostre sventure.

C’erano i giornalisti aversani de “La Rampa”, Lidia e Christian De Angelis che meno di un mese fa sono stati vittime di un brutale pestaggio ad Aversa, nel quale è stato coinvolto anche il padre Renato. Aggrediti da un gruppo di 15-20 persone, in pieno giorno. Non è chiaro quale articolo abbia scatenato la violenza del branco nella stessa piazza Principe Amedeo dove, nei mesi scorsi, è stato minacciato un altro giornalista che aveva scritto del racket dei parcheggiatori abusivi attivi nella zona, Stefano Montone, il quale ha anche ricevuto una querela temeraria per aver documentato un “inchino” a un personaggio ritenuto vicino a un clan. Anche Montone era presente, oggi, a Roma.

C’era Stefano Andreone, giornalista picchiato lo scorso marzo da tre persone in un bar di Cardito per un articolo scritto sul giornale online MetNews che egli stesso cura e gestisce. Il giornale, che si occupa della cronaca locale dei Comuni a Nord di Napoli, tra le altre cose aveva trattato anche la questione delle mazzette sulle esumazioni. “Sei il giornalista? Abbiamo uno scoop per te”: questa la frase che gli hanno rivolto, prima di dare luogo alla mattanza.

E poi c’ero io, Luciana Esposito, la giornalista picchiata nel parco Merola di Ponticelli, il celeberrimo “parco dei murales”. Picchiata da una coppia di coniugi e dalla loro primogenita, incinta, all’epoca dei fatti. Come e perché è maturata la mia aggressione, lo stabilirà il processo in corso e che, il prossimo 8 giugno, mi porterà a rivedere i miei aggressori in un’aula di tribunale, dopo circa un anno e mezzo da quel lunedì mattina che, inevitabilmente, mi ha cambiato la vita. Accanto a me, quel giorno, come costantemente accade da quando è iniziato il mio calvario, ci sarà la FNSI e il SUGC, già costituitisi parte civile, a dimostrazione di un supporto tutt’altro che di sterile facciata.

Un gesto, di solidale e concreta vicinanza, che ripeteranno quando i miei colleghi Stefano, Christian, Lidia e gli altri giornalisti minacciati si misureranno con la legge e consegneranno alla legge il legittimo desiderio di vedersi conferire giustizia per quanto gli è stato inflitto. Ci è stato inflitto.

 

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