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Camorra Ponticelli: ecco com’è nata la leggenda di “XX”, il temibile camorrista che non si può nominare

Luciana Esposito di Luciana Esposito
23 Agosto, 2020
in Cronaca, In evidenza
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Camorra Ponticelli: ecco com’è nata la leggenda di “XX”, il temibile camorrista che non si può nominare
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“XX”: una sigla che nel contesto camorristico di Ponticelli assume un significato ben preciso.

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Una dicitura intorno alla quale un giovane cresciuto alimentando feroci velleità criminali ha costruito la sua carriera camorristica, condita a suon di episodi violenti e barbari omicidi.

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“XX” è il “nickname” di Antonio De Martino, una delle figure-simbolo del clan De Micco prima e dell’asse De Martino-De Micco successivamente al blitz che nel novembre del 2017 decretò la fine dell’era del “clan dei tatuati” a Ponticelli”. Una sigla apparentemente insignificante, rilanciata soprattutto sui social network, dove i De Micco e i De Martino si sono rivelati ben presto tra le organizzazioni camorristiche più abili a utilizzare foto, hashtag, slang e frasi ad effetto per reclutare e fidelizzare nuove reclute, oltre che per maturare quel genere di consensi che assicurano omertà e connivenza anche tra quelle frange di popolo neutrali e tutt’altro che propense a rimanere invischiate in pratiche illecite.

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Vacanze lussuose, serate in discoteca, battute di shopping lungo le strade più rinomate della Napoli bene, cene in ristoranti costosi: il diario di bordo di “XX” consente ai giovani che orbitano intorno al “sistema” e che maturano quel morboso rapporto di sudditanza psicologica nei confronti di quelli come i “Bodo” di sognare letteralmente ad occhi aperti.

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“XX” alias Antonio De Martino, tuttavia, si è spinto ben oltre la mera pratica virtuale dell’ostentazione di ideali che strizzano l’occhio alla camorra e di quel tenore di vita intriso di lusso e sfarzo al quale tutti i giovani che vivono ai margini delle periferie e delle società tendono ad ambire, costruendo la sua fama di camorrista senza scrupoli mettendo la firma su cruenti omicidi, pestaggi e varie azioni criminali.

Nelle rione Incis, nel rione Fiat e nel Lotto 10, gli arsenali dell’asse De Micco- De Martino, “XX” è diventato ben presto l’acronimo da utilizzare per riferirsi ad Antonio De Martino, senza incappare nel pericoloso e scomodo onere di pronunciare quel nome e quel cognome a voce alta.

Figlio di Carmela Ricci e del ras Francesco De Martino, “XX” è il primo di tre figli cresciuti a pane e camorra.

La famiglia De Martino rappresenta uno dei punti fermi del clan De Micco, così come comprova l’operazione di polizia, avvenuta nel dicembre del 2017, durante la quale, in una stanza nascosta dietro l’anta di un armadio all’interno dell’abitazione di Carmela Ricci – moglie di Francesco De Martino e madre di Antonio – fu trovata una pistola Tanfoglio con matricola abrasa, completa di 22 cartucce calibro 380, nonché due caricatori ed un lampeggiante, del tipo in dotazione alle forze dell’ordine. La donna fu arrestata, perché responsabile del reato di detenzione e porto abusivo di arma e munizionamento.

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Il secondogenito, Giuseppe De Martino, classe 1990, fu arrestato a marzo del 2015 e condannato a sei anni di reclusione, insieme ad una dozzina di persone, ritenute responsabili delle cruente estorsioni perpetrate ai danni di diversi commercianti del quartiere, avvenute negli anni in cui, a suon di intimidazioni, pestaggi, minacce e raid, i De Micco tentavano di affermare la propria egemonia criminale a Ponticelli.

Con il padre e il fratello in carcere, Antonio De Martino ha immediatamente ereditato lo status di “capo” della famiglia e dell’organizzazione. Un’ascesa criminale tanto rapida quanto sancita da omicidi pesanti, in primis quello del ras del lotto O Salvatore Solla e della donna-boss Annunziata D’amico del Rione Conocal. 

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“XX” ha rapidamente dimostrato “sul campo”, a suon di efferate azioni criminali, di possedere la stoffa del bravo camorrista, consolidando quel genere di fama frammista a timore reverenziale che gli ha facilmente consentito di conquistare un posto di spessore tra le fila del clan dei “Bodo”. Il boss Luigi De Micco si fidava ciecamente di lui, tant’è vero che non appena si sparse la voce che alcuni “infami” avessero tradito il clan diventando collaboratori di giustizia, temendo per le sorti dell’organizzazione, fiutando che l’ora delle manette per lui si stesse avvicinando, indicò proprio “XX” come suo erede naturale a capo di quel clan che anche grazie alle sue feroci gesta era riuscito a conquistare timore e rispetto dai clan rivali e dalla gente comune. A stroncare le velleità del clan, quel genere di variabile imprevedibile che il boss non aveva preventivato: anche “XX” e le altre figure di spessore del clan furono arrestate nell’ambito del maxi-blitz che il 28 novembre del 2017 sancì la fine di un’era camorristica a Ponticelli, quella iniziata proprio nel segno dei “Bodo”, dei tatuaggi e nel segno di “XX”.

A confermare il ruolo cruciale ricoperto da “XX” nell’ambito delle dinamiche camorristiche locali è uno dei primi raid intimidatori messi a segno dalla “camorra emergente” – ovvero dai clan di Napoli est alleati per scalzare l’egemonia dei De Micco a Ponticelli – nell’ambito della faida che scoppiò subito dopo l’arresto delle figure di spicco del clan dei tatuati e che portò all’esplosione di un ordigno piazzato nelle vicinanze del circolo ricreativo di “XX” nel Rione Fiat.

Tuttavia, il lavoro apparentemente insignificante, praticato sui social network da “XX”, ha segnato un solco ben preciso che ha indicato la strada da seguire alle giovani reclute chiamate a colmare quel vuoto di potere. Il fratello più piccolo di “XX” e i “fratelli acquisiti” chiamati a dimostrare sul campo di essere all’altezza delle aspettative del clan, si trovano a tu per tu con un’occasione precoce ed irripetibile da agguantare per emulare le gesta di quell’idolo che continuano ad osannare, malgrado la condanna all’ergastolo rimediata per l’omicidio Solla che potrebbe ben presto bissare, in quanto accusato anche dell’omicidio di Annunziata D’Amico. 

“XX” amava “educare alla camorra” i membri più piccoli, fin dai primi vagiti.

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E’ così che sui social network vengono sbattute foto di bambini inconsapevoli che scimmiottano “lo status del malavitoso” fatto di collane vistose ed orologi importanti e soprattutto ostentando quel codice identificativo che gli barda il petto e che assume una connotazione ben precisa: “XX”, un credo camorristico che si tramanda di generazione in generazione.

Una costante che si ripete, anche in seguito alla carcerazione di Antonio De Martino: è il fratello minore a rimarcare il concetto.

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I social network rappresentano per i giovani che orbitano nei contesti malavitosi quel genere di vetrina nella quale piazzare le immagini delle “icone” da non dimenticare, per fare in modo che i loro volti e le loro gesta restino un ricordo nitido da consacrare e stigmatizzare, perchè costretti a patire le pene del carcere.

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L’ultimo erede del marchio “XX” ha dimostrato fin da subito un perfetto allineamento con la politica e le direttive impartite dal fratello Antonio:

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Barbe folte, outfit in cui il nero è il colore predominante, salvo sporadiche apparizioni di scarpe da ginnastica vistose e sgargianti, l’ostentazione della “bella vita”, soprattutto di quelle serate in discoteca a suon di fiumi di alcool che tanto fascino sortiscono sui giovani, oltre al consolidamento di azioni, virtuali e non, utili a mantenere viva la fama e il timore associati alla sigla “XX”: sono solo alcune delle pratiche più amate dai nuovi interpreti dell’era camorristica contemporanea tra le strade di Ponticelli.

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