Quella di Vincenzo Costanzo soprannominato Ciuculill’, il 26enne ucciso a Napoli in un agguato di camorra durante la festa scudetto, è la storia di un predestinato. O forse no.
Nato nel 1997 in una delle famiglie camorristiche più radicate nel quartiere Ponticelli, Costanzo è morto da servo della camorra, andando incontro a quel destino annunciato che condanna giovani vite a finire trucidate dalle logiche imposte dalle dinamiche malavitose. Un copione che si ripete immutato da tempo immemore e che raramente ha visto quei ragazzi cercare una strada alternativa al tunnel senza via d’uscita che li condanna alla morte violenta prima di compiere trent’anni oppure a trascorrere gli anni della giovinezza, quelli che dovrebbero essere i più belli e spensierati, relegati in una cella, senza rinnegare le severe regole della fedeltà e dell’omertà, pur di servire la camorra. Una chimera, un falso mito, ma non per quei ragazzi che ostentano con spocchiosa fierezza il lusso, gli sfarzi e gli eccessi che possono concedersi grazie a una vita da servo del sistema.
Ciuculill’ è un esempio emblematico in tal senso.
Un giovane che ha sempre goduto di una pessima fama, in quanto capace di attirare su di sé inimicizie e disprezzo fin da bambino, complice un carattere tutt’altro che cordiale. Lo descrivono così gli abitanti del Conocal di Ponticelli, fortino del clan D’Amico in cui Costanzo è cresciuto e ha vestito gli abiti del ras.
Gente comune, colpevole solo di vivere in un rione alla mercé della camorra e per questo vessata, umiliata, strattonata, minacciata, malmenata, costretta a subire le peggiori angherie da Ciuculill’ e dalla sua paranza, costituita da giovanissimi e per questo più sfrontata e irrispettosa, ma anche più temuta, perché priva di raziocinio.
Figlio di una delle sorelle di Anna Scarallo, la moglie del boss Antonio D’Amico, Costanzo conquista il pass che lo accredita come ras del Conocal quando, a giugno del 2016, il rione viene ripulito in seguito all’operazione Delenda che porta all’arresto di circa 100 affiliati al clan. Un blitz che fa da eco a quello maturato a marzo del 2015 e che fece scattare le manette per 50 soggetti legati ai cosiddetti fraulella del Conocal. E così, poco dopo aver compiuto la maggiore età, viene chiamato a ricoprire il ruolo di “capo” del suo rione. Un incarico ricoperto adottando una condotta ben diversa da quella che aveva contraddistinto l’era dei fratelli Antonio e Giuseppe D’Amico, fondatori dell’omonimo clan e tra i protagonisti della faida per il controllo dei traffici illeciti a Ponticelli che prese il via in seguito alla dissoluzione del clan Sarno.
Generazioni diverse, momenti storici diversi, ma anche esigenze e priorità diverse.
Il clan D’Amico, sotto le direttive di Costanzo, affronta lunghi anni bui che vedono la cosca principalmente dedita a preservare e controllare gli affari illeciti nel Conocal, senza avanzare grosse pretese rispetto allo scenario camorristico complessivo, salvo sporadiche schermaglie ed incursioni armate nei fortini degli altri clan, principalmente “stese” e scazzottate, soprattutto con i giovani coetanei contigui al clan De Martino per ragioni riconducibili soprattutto a dissidi di carattere personale o legati al controllo dello spaccio di droga in altre zone del quartiere, come la villa comunale intitolata ai fratelli De Filippo.
Quella che contamina Ponticelli è una camorra viscida, subdola, fluida, capace di tessere trame impensabili fino a pochi mesi prima e che porta chi si è giurato odio eterno a stringersi la mano e scattarsi selfie ammiccanti, pur di preservare gli affari e non patire momenti di magra.
Costanzo, i suoi 26 anni, li ha vissuti spingendo sull’acceleratore: viaggi, vacanze, hotel di lusso. Un cultore della bella vita e di quel modo sempre più ricorrente e sempre più in voga tra i giovani di sponsorizzare un modello camorristico che consente di collezionare orologi di lusso e scarpe griffate. Poco importa a quei giovani se quella vita dura poco e se quei soldi sono sporchi di lacrime e sangue di tanta, troppa brava gente, costretta a piegarsi alle logiche camorristiche per preservare l’incolumità dei propri cari, in primis, dei figli, nati in quello stesso rione e che rappresentano l’altra faccia del Conocal.
Estorsioni a tappeto praticate ai commercianti, ma anche ai venditori ambulanti e ai soggetti dediti alle attività illecite, anche le più blande e trascurabili. Perfino agli abitanti del rione, costretti a versare una tangente al clan per parcheggiare in serenità auto e scooter sotto casa.
L’occupazione coatta dei tanti alloggi nel Conocal, una piccola cittadella che conta migliaia di abitanti, dove lo Stato latita e la camorra spadroneggia. Decine di famiglie, di recente, hanno segnalato di essere stati costretti ad andare via dalla politica irriverente imposta da Costanzo, adesso che lo hanno ammazzato, non hanno più paura di dirlo a voce alta. Buttati fuori dai loro alloggi senza avere neanche la possibilità di portare via le loro cose e molto spesso impossibilitati ad affittare un appartamento, diversamente sarebbero fuggiti da quell’inferno autonomamente.
E poi c’è lo spaccio di droga che negli ultimi tempi è tornato assai in voga nel Conocal, arrivando quasi ad emulare gli anni in cui il business faceva contare 15 piazze nel rione dei fraulella, tutte redditizie, tutte rigorosamente controllate dalle donne del clan, capeggiate da Annunziata D’Amico, la donna-boss che pagò con la vita il diniego di pagare la tangente ai De Micco.
Un omicidio che ha squarciato una ferita insanabile nell’orgoglio degli uomini di casa D’Amico, soprattutto perchè i rivali non hanno esitato ad uccidere una donna. Correva l’anno 2015 e da allora lo scenario camorristico è mutato repentinamente, dentro e fuori il Conocal, anche per effetto della politica avviata da Costanzo.
Nel rione che Annunziata D’Amico ha difeso a costo della vita sono subentrati prima gli Aprea, per espresso volere dei De Luca Bossa, quando riuscirono a consacrare la propria egemonia, approfittando della temporanea uscita di scena dei De Micco, e poi una paranza di giovani introdotta da due ragazzi, cresciuti insieme ai figli dei De Micco, e che hanno messo su famiglia con le figlie del boss Antonio D’Amico, dando luogo ad una sorta di surreale famiglia allargata.
Basta pensare che uno dei due generi del boss Antonio D’Amico è il cugino di “Brodino”, giovane leader del clan De Micco che la defunta zia Annunziata D’Amico voleva sciogliere nell’acido.
In questo clima surreale, i video di TikTok in cui i figli della donna-boss uccisa annunciano vendetta, si sovrappongono a quelli che mostrano Costanzo, sorridente e compiaciuto, mentre si diverte in discoteca, in compagnia dei mariti delle cugine e i giovani affiliati al clan De Micco-De Martino. Un paradosso troppo vistoso, difficile da ignorare, impossibile da giustificare.
“Il nuovo clan D’Amico” assume così rapidamente le fattezze di una succursale del clan De Micco dove la presenza di Costanzo risuona come una vistosa nota stonata. Forti del vincolo di parentela acquisito con il boss Antonio D’Amico, i due giovani cresciuti sotto l’ala protettrice dei De Micco, appaiono i candidati ideali destinati a conquistare lo status di capoclan, un passaggio del testimone che concorrerebbe a rilanciare le quotazioni degli stessi De Micco a Ponticelli.
Inoltre, negli ultimi tempi, secondo quanto riferito dagli abitanti del Conocal, Costanzo era solito mostrarsi in pubblico in preda ad un visibile stato di alterazione che scaturiva dall’uso compulsivo e frequente di droghe. Un dettaglio tutt’altro che trascurabile, perchè concorre a rendere inaffidabile un affiliato, soprattutto in caso di arresto.
In questo scenario, Vincenzo Costanzo era diventato una figura scomoda, ma anche pericolosa.
Nel Rione Conocal la notizia del suo assassinio non ha colto di sorpresa nessuno. Una morte annunciata, tant’è vero che già da qualche tempo uno dei mariti delle cugine di Costanzo aveva iniziato a marcare la scena da leader, subentrando al posto di Ciuculill’ nella gestione degli affari e nel controllo del rione.
Intanto, sui social iniziano a girare i primi video-tributo post mortem.