Non è difficile immaginare quelle scene che 27 anni fa hanno portato alla morte di vite innocenti, catapultate dalla camorra nell’ordinaria routine di un quartiere storicamente tenuto in ostaggio dalla criminalità organizzata.
Era l’11 novembre 1989, un giorno come tanti, come uno dei tanti che si respirano tutt’oggi, a dispetto dei 27 anni trascorsi. Se fosse anche solo per il fatto che pure ieri, un gruppo di fuoco è entrato in azione, tra la gente, in pieno giorno, nei pressi di un supermercato e nel cuore di uno dei centri abitati più popolati del quartiere.
Quel sabato sera di 27 anni fa, il Bar Sayonara accoglieva scene simili a quelle rilevabili anche oggi in un contesto d’intrattenimento: caffè, chiacchiere, la meritata passeggiata di svago dei più giovani.
C’erano bambini, anziane, ragazzi, uomini: una fedele riproduzione in miniatura di tutti gli stereotipi individuabili all’interno della popolazione accolta dal quartiere, quindi, tra tante persone perbene, c’erano anche i camorristi. Questa fusione forzata di fatti e persone, oggi come allora, troppo spesso sancisce la condanna a morte di vite innocenti.
È successo quella sera di 27 anni fa, ma, nel corso di questi anni, è una costante che si ripete. Il numero di vittime innocenti maturato tra le mura del solo quartiere Ponticelli, in tal senso, rimarca quanto sia impellente la minaccia che incombe sulle vite dei civili estranei alle logiche criminali.
I bambini, i ragazzi, gli adulti di allora, presenti sul luogo dell’agguato, ricordano con lucido dolore la mattanza consumatasi nel giro di pochi attimi.
La quiete di un sabato sera qualunque squarciata da una pioggia di spari e di urla, di morte e di paura.
Negli occhi dei testimoni, superstiti di una strage che ha profondamente segnato l’anima identitaria di Ponticelli, sono rimasti imprigionati dettagli raccapriccianti: il sangue, i corpi martoriati, la cinica e rapida ferocia dei killer che ha colto di sorpresa tutti, disseminando tra la gente comune quel genere di paura che sa essere più dilaniante dei proiettili, quella che paralizza le gambe e annebbia la vista e che riduce la voce ad un flebile e tremolante urlo sordo strozzato in gola.
“Per tante notti sono rimasto sveglio a pensare che potevo esserci io al posto di una di quelle vittime innocenti”: racconta così, un anziano uomo, presente sul luogo dell’agguato, quel sabato sera di 27 anni fa.
“Le urla e il pianto dei bambini, oltre al panico generale che sembrava quasi inciampare nell’incredulità delle persone che mentre fuggivano, non riuscivano a credere a quello che stava succedendo, è una sensazione che non ho mai dimenticato e mai dimenticherò.
In quegli anni, la presenza della camorra, si sentiva molto più forte di ora, per effetto dell’operato del clan Sarno, ma a questo genere di situazioni non si è mai pronti. Così come sappiamo che viviamo in una zona rossa e siamo consapevoli che il Vesuvio può scoppiare da un momento all’altro, così siamo consapevoli di vivere in un quartiere dove, probabilmente, la percentuale di camorristi che ci abitano è superiore al numero delle persone perbene. Eppure, allo stesso modo, non fai i conti con l’idea e la paura che questo può costarti la vita fino a quando non ti ritrovi a vivere una scena come quella del Bar Sayonara.”