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Lotto O di Ponticelli: ecco come la polizia sgominò la piazza di spaccio nel palazzo-bunker

Luciana Esposito di Luciana Esposito
6 Ottobre, 2022
in In evidenza, News
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Lotto O di Ponticelli: ecco come la polizia sgominò la piazza di spaccio nel palazzo-bunker
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80194195In un tempo non molto lontano, il Lotto O di Ponticelli era il quartier generale di un clan che proprio tra i palazzoni grigi del rione ha iniziato a muovere i primi passi nel contesto camorristico.

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Il clan De Luca Bossa, fondato da Antonio De Luca Bossa, detto ‘o sicco, per la sua corporatura snella, nacque in opposizione al sodalizio camorristico Mazzarella-Misso-Sarno.

‘O Sicco iniziò la sua carriera criminale come spietato killer del clan Sarno e successivamente decise di creare un suo quartier generale nel Lotto 0 di Ponticelli, tra quelle stesse strade che inneggiano all’antica cultura greco-romana: “via Cleopatra”, “via dei mosaici”, “via dei bronzi di Riace”.

La scissione dei de Luca Bossa dai Sarno, diede luogo a una sanguinaria faida di camorra, culminata in una serie di feroci omicidi.

Erano gli anni 90’ quando, in seguito all’occupazione delle case del Lotto O, il clan De Luca Bossa prese il controllo del rione.

Durante gli anni in cui il clan Sarno iniziò a vacillare, i De Luca Bossa impostarono nella loro roccaforte, il Lotto O di Ponticelli, una delle piazze di spaccio più prolifere della storia della Periferia orientale di Napoli.

La piazza di droga esisteva dapprima, ma non era così organizzata e gettonata, cosa che avvenne in seguito all’avvento della famiglia Solla che, all’interno del plesso P4, trasformò il palazzo in cui viveva in un bunker dal quale gestire lo spaccio di droga. Così, la famiglia Solla, direttamente dal suo appartamento, controllava che tutto procedesse alla perfezione.

Un business sgominato da un’operazione brillantemente condotta dal reparto di Polizia investigativa del commissariato di Polizia di Ponticelli che portò non solo al sequestro della droga, ma anche delle armi rinvenute tra i vani dei palazzi, oltre che all’arresto dei gregari che gestivano la piazza di spaccio.

Già, nelle intercapedini ricavate tra un gradino e l’altro, non di rado, i clan depositano pistole e kalashnikov. Un nascondiglio sicuro e pratico che assicura la presenza di armi facilmente reperibili in situazioni di emergenza.

Un’indagine, quella che ha portato alla decapitazione della piazza di spaccio più consistente della storia del Lotto O di Ponticelli, supportata dalle immagini fornite da diverse telecamere collocate in postazioni utili a “spiare” quanto avveniva dentro e fuori la palazzina-bunker: una telecamera nascosta all’interno del neon che illuminava l’androne del palazzo, oltre a quelle esterne, collocate in diversi punti strategici del rione e delle strade adiacenti.

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Da uno dei filmati al vaglio degli inquirenti, trapela che una delle sentinelle della piazza di spaccio, può aver intravisto una delle telecamere: guarda con insistenza proprio in quella direzione, poi la indica ad un altro affiliato. I due parlottano per un po’, per poi tornare tranquillamente a piantonare la piazza. Forse, il clan sapeva di essere finito nel mirino degli inquirenti, ma seguitava a spacciare, nella falsa convinzione di essere “più forte” dello Stato.

Quest’ultima è una delle immagini meno inquietanti raccontate da quei filmati: la mole di auto e motorini che giungono nei pressi del bunker per acquistare droga è impressionante. Ragazzi e uomini di tutti i tipi: incravattati e disperati, indistintamente accomunati da quel “vizietto” da appagare.

Il controllo e la gestione della piazza avvenivano attraverso un’attività ben organizzata: gli uomini del clan tenevano un briefing prima di iniziare a lavorare e, poi, le quattro vedette si dividevano la zona da piantonare.

Due porte blindate, una interna al palazzo, l’altra esterna, una sorta di portone sostitutivo che letteralmente isolava il plesso, nella porzione della palazzina collocata pressoché di fronte agli uffici del Giudice di Pace di Barra e che guarda verso viale della villa Romana.

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Due porte blindate che impossibilitavano l’accesso a chiunque all’interno dell’edificio, comprese le persone che ci vivevano e che, per uscire ed entrare dal palazzo, dovevano attendere che gli uomini del clan gli aprissero le porte blindate. Clamoroso, ma vero. Nelle terre in cui l’egemonia della camorra dilaga, tutto è possibile. Soprattutto che gli interessi del clan primeggino sulle ordinarie esigenze dei civili.

Il reparto di polizia investigativa di Ponticelli, nel 2008 sgominò quella piazza di spaccio conducendo un’operazione che portava gli agenti coinvolti ad alternarsi nella copertura di turni che iniziavano al calar del sole e si protraevano fino a tarda notte: si appostavano per piantonare la piazza e carpirne il modus operandi, le abitudini, oltre che individuare i volti degli affiliati e dei clienti abituali. La droga da smerciare, invece, veniva consegnata da un’intercapedine ricavata sull’altra facciata del palazzo, quella che costeggia via Cleopatra.

Gli uomini del reparto di polizia investigativa di Ponticelli per portare al termine quell’operazione si servirono dell’articolo 98 che permette di applicare l’arresto ritardato, il medesimo provvedimento che adottarono nell’ambito di un’analoga operazione condotta nel Rione De Gasperi. Gli agenti di Ponticelli furono tra i primi – se non i primi – in Italia a servirsi dell’articolo 98 per condurre un’operazione di polizia.

Quell’operazione che ha portato all’arresto di tutti gli uomini coinvolti nello spaccio di stupefacenti fu studiata nei minimi dettagli per evitare sbavature: un gruppo di agenti cinturava il rione per evitare la fuga dei gregari, mentre a un altro gruppo spettava il compito di scardinare nel minor tempo possibile le due porte blindate e bloccare gli uomini all’interno della piazza, un altro gruppo ancora doveva salire immediatamente nell’appartamento dei Solla.

Li chiamavano “’e mosc’”, ovvero, “le mosche”: questa la parola in codice che gli uomini del clan utilizzavano per segnalare l’ingresso delle forze dell’ordine nel Rione.

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Fischi, messaggi in codice, segnali che preannunciano l’imminente “pericolo”: schemi, mimica, gestualità e dialettica ben definite che insegnano che la camorra non lascia nulla al caso.

Tra i grigi palazzoni del Lotto O di Ponticelli, oggi, serpeggia nuovamente l’incubo dello spaccio di droga.

Nell’era del 2.0, anche la camorra ha imparato a servirsi della tecnologia moderna per fare “meno rumore”.

È cambiato il modo di comunicare, ma non il contenuto del messaggio da diramare.

È cambiato il modo di agire, ma non la natura della sostanza da smerciare.

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